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Voto in Spagna, popolari primo partito ma senza maggioranza. Tengono i…

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I RISULTATI FINALI

Voto in Spagna, popolari primo partito ma senza maggioranza. Tengono i socialisti, bene Podemos

MADRID - Il Partito popolare del premier Mariano Rajoy si conferma prima forza politica del Paese ma con il 28,7% dei consensi resta lontano dalla maggioranza assoluta fermandosi a 122 deputati sui 350 della Camera. Tiene, rispetto ai sondaggi della vigilia, il Partito socialista guidato da Pedro Sanchez al 22,1% con 91 seggi. Ottimo risultato per gli indignati di Podemos che ottengono il 20,6% dei voti e 69 rappresentanti. Delusione per i moderati di Ciudadanos che sembravano destinati ad essere decisivi: 13,8% dei consensi e solo 40 deputati. La partecipazione al voto è stata del 73,2 per cento.

Come previsto e come temuto da molti, in Spagna e in Europa, si va dunque verso una difficile fase di trattative tra i quattro schieramenti maggiori ai quali si deve aggiungere l’alleanza di estrema sinistra. Un fase senza precedenti per il Paese iberico.
Le elezioni di questa domenica segnano infatti la fine, dopo quasi quarant’anni del bipartitismo che ha visto alternarsi al potere popolari e socialisti senza intrusioni. La crisi più profonda della storia democratica spagnola, la protesta di piazza e l’indignazione della classe media di fronte al potere della casta politica hanno portato in Parlamento due nuovi movimenti - Podemos e Ciudadanos - che saranno determinanti nella formazione del governo.

I conservatori con Rajoy come prima forza uscita dal voto rivendicano il diritto di guidare il nuovo governo. Ricordano che la ripresa economica si sta rafforzando – nel 2015 il Pil crescerà più del 3% e i senza lavoro diminuiscono - e insistono sulla necessità che la Spagna si mantenga stabile e affidabile di fronte all’Europa e ai mercati.

Ma le ferite della crisi sono ancora fresche e i socialisti, con il nuovo corso di Sanchez, spingono sull’urgenza di affrontare le ingiustizie sociali e gli squilibri economici non risolti dalla ripresa, proponendosi come forza tradizionale ma di rinnovamento.

Podemos, movimento anti-sistema di Pablo Iglesias che chiede un nuovo modello di sviluppo per la Spagna e per l’Europa, difficilmente scenderà a patti con i socialisti per formare una grande alleanza di sinistra: anche se sembra questa l’unica coalizione in grado di avvicinarsi alla maggioranza di 176 deputati se dovesse ricevere anche l’appoggio dell’estrema sinistra. «Oggi è nata una nuova Spagna. Gli spagnoli hanno votato per cambiare il sistema», ha detto a caldo Iglesias.
Albert Rivera, il leader di Ciudadanos, che promette una svolta liberista-soft battendosi contro la corruzione ha fin qui escluso alleanze di legislatura con i popolari e ha fatto sapere che potrà favorire con l’astensione la nascita di un governo di minoranza. Ma proprio Ciudadanos governa già in due importanti regioni con i partiti tradizionali: in Andalusia con i socialisti e e nella regione di Madrid con i popolari.

«I partiti hanno tracciato troppe linee rosse e hanno messo troppi veti. Dovranno presto rinunciare a qualcosa per arrivare a formare un governo. Ci vorrà tempo ma soprattutto i popolari e Ciudadanos possono trovare un’intesa. Meno probabile che sia Podemos a partecipare in qualche modo al prossimo governo. Se i partiti non risolveranno il rompicapo - dice Ruben Segura, analista di Bank of America Merril Lynch - ci potrebbero essere nuove elezioni già a marzo».

Nessuno, nemmeno i movimenti di rottura come Podemos e Ciudadanos, vuole arrivare a tanto. L’incertezza non fa bene alla Spagna come sa bene anche re Felipe VI che, a un anno e mezzo dalla sua incoronazione, è chiamato a gestire come arbitro e moderatore questa fase post-elettorale senza precedenti.
Il prossimo premier dovrà gestire la ripresa, scegliendo il modello economico di sviluppo dopo le illusioni del boom del mattone e la lunga recessione. Ma dovrà anche negoziare con l’Unione europea maggiore flessibilità sul risanamento del bilancio pubblico, risolvere il conflitto con la Catalogna e prendere decisioni pesanti sulla lotta al terrorismo. Un’agenda fittissima che non ammette ulteriori ritardi.

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