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Rischio Brexit, i 4 punti chiave nell’agenda di Cameron

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il negoziato londra-ue

Rischio Brexit, i 4 punti chiave nell’agenda di Cameron

Londra – David Cameron parte per Bruxelles con una cartella riempita di documenti che potrebbero cambiare la condizione e il destino di Londra nell'Unione europea. Sono le richieste sulle quali chiede un accordo per potersi battere a favore della permanenza britannica nell'Unione che sarà sottoposta a referendum popolare entro il dicembre 2017, probabilmente già nell'estate prossima.

Qualora non ci fosse un accordo soddisfacente il premier britannica è pronto a fare campagna per l'uscita del Regno Unito. Scenario altamente improbabile, ma non del tutto impossibile a dare retta alle dichiarazioni del capo del governo di Sua Maestà. I punti del contenzioso per evitare Brexit al centro del summit di Bruxelles sono quattro: sovranità e integrazione, competitività, diritti all'assistenza sociale per lavoratori intracomunitari, relazioni fra Paesi euro e non euro.

Sovranità e integrazione: Londra vuole sfilarsi dal destino sancito nei trattati di dover partecipare a una “Unione europea sempre più integrata” . Fino ad ora Cameron ha spuntato solo l'impegno che il concetto contestato non deve equivalere, per tutti, all'obbiettivo comune di integrazione politica. Per Londra sarà importante sancire il distacco formale dal processo evolutivo dell'Ue. Per questo rilancia anche sul tema della sovranità che secondo i desiderata britannici deve passare attraverso il rilancio dei Parlamenti nazionali. In caso di legislazione europea contestata, secondo Londra, una quota da definire di assemblee nazionali deve avere il diritto di influenzare il processo normativo.

Competitività: Londra insiste per il completamento del mercato interno ancora non ultimato in molte aree e per dare energiche sforbiciate alla cosiddetta “burocrazia di Bruxelles” aumentando la capacità dell'Ue di competere nel mondo. E' il punto meno ostico del contenzioso anglo-europeo.

Assistenza sociale per lavoratori Ue: resta il passaggio formalmente più difficile. Londra chiede limitazioni nell'accesso al welfare per lavoratori Ue occupati e disoccupati. In particolare chiede che per quattro anni siano ridotti i benefits anche ai cittadini Ue regolarmente assunti, creando così una discriminazione fra lavoratori Ue e britannici (che pure sono membri dell'Unione, ovviamente) in palese contrasto con i principi della libera circolazione sancita dai trattati. Londra accetta l'inviolabilità del mercato interno, ma sostiene che l'afflusso enorme di cittadini Ue dipende dalla generosa struttura di welfare state britannico divenuto eccessivamente gravoso per il bilancio dello Stato, da qui la domanda di una moratoria che dagli iniziali quattro anni potrebbe crescere fino a sette anni. In particolare la contestazione riguarda gli assegni familiari che lavoratori Ue nel Regno Unito ricevono anche se la famiglia risiede nel Paese d'origine. L'opposizione più severa arriva dai Paesi dell'Europa centro-orientale a cui appartengono molti “immigrati” Ue. Un compromesso possibile è limitare le nuove norme solo ai futuri arrivi, salvaguardando i diritti acquisti di chi risiede. Londra ricorda a tutti che fu l'unico fra i grandi Paesi dell'Ue a non applicare la moratoria sul diritto di residenza che fu imposta ai Paesi dell'Est in occasione dell'allargamento. Il negoziato si va complicando anche perché Austria e Germania potrebbero chiedere tutele non uguali, ma simili a quelle che rivendica Londra, scenario inaccettabile per Praga e Budapest, Bratislava, Varsavia, Bucarest e Sofia.

Euro si –Euro no: Resta questo, a nostro avviso, il passaggio politicamente più complesso. Londra riconosce il diritto dell'eurozona di una maggiore integrazione per superare le fragilità di un sistema incompleto ma chiede che questo non discrimini – nell'ambito del mercato unico – i Paesi che non adottano l'euro e in particolare quelli come Gran Bretagna e Danimarca che non intendono adottarlo mai. Pertanto sollecita il formale riconoscimento che il mercato interno è multicurrency e che chi non condivide la moneta unica non sarà mai obbligato a partecipare a salvataggi futuri dell'eurozona. Inoltre chiede che qualora misure di maggiore integrazione dell'eurozona dovessero sbattere con gli interessi del Regno Unito sia introdotto un meccanismo che consente di portare il contenzioso sul tavolo dei capi di governo in un summit ad hoc. Londra teme, in altre parole, di essere messa in sistematica minoranza dall'eurozona e costretta a subire misure che indeboliscono la City. Per questo si spinge ancora più in là incrociando il single rulebook della regolamentazione bancaria. Se si creassero norme differenziate sul banking Ue esiste, però, il ragionevole timore che la City più che tutelarsi da svantaggi futuri possa trarre un vantaggio diretto rispetto alle altre piazze dell'Unione. Il più esplicito sul punto è stato il presidente francese Hollande che avrebbe già spuntato l'impegno a norme assolutamente identiche.

Se questo è il catalogo delle misure per evitare Brexit la confezione che lo dovrà accompagnare è forse il passaggio più complesso. Per Londra è essenziale che l’accordo in discussione a Bruxelles sia “legalmente vincolante e irreversibile”. E questo in teoria implica la revisione dei Trattati Ue, scenario inaccettabile ai più. Gli uffici legale dell'Unione sono al lavoro nella consapevolezza che senza una garanzia del genere David Cameron non potrà mai sperare di vincere il referendum ed evitare Brexit.

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