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La “Bibbia” elettorale di Trump: tutti i precetti per la Casa…

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la corsa verso la nomination

La “Bibbia” elettorale di Trump: tutti i precetti per la Casa Bianca nel libro che scrisse trent’anni fa

NEW YORK - Si intitola “L'Arte del deal” ed è vecchio di trent'anni. Ma, per chi accusa Donald Trump di non avere un programma o una strategia politica, la risposta ai principi guida della sua campagna potrebbe essere cercata spolverando, è il caso di dire, le pagine di un best seller finora ammuffito sugli scaffali più che consegnato alla storia a fianco dell'Arte della Guerra di Sun Tzu. Scritto di pugno da Donald assai prima dei suoi disegni presidenziali, mette in luce una filosofia di business e forse di vita, che ora viene applicata in realtà fedelmente alla politica. Una miscela inestricabile - nella recensione del Wall Street Journal che di business se ne intende - di arroganza e bluff, di pressioni su alleati e intimidazione di avversari allo scopo di vincere, di chiudere l'operazione. Il tutto alternando atteggiamenti duri e operazioni per ingraziarsi possibili alleati, conditi da una buona dose di sensazionalismo.

Questo copione, nero su bianco, prescrive undici comandamenti, forse un segno del desiderio inconscio di superare persino chi ne dettò originariamente soltanto dieci. Il grande negoziatore, sostiene Trump, deve trovare anzitutto il modo di «far conoscere» la sua posizione. E più questo modo «è sensazionale, meglio è». Strategia essenziale è inoltre quella di «fight back», di rispondere per le rime. Anzi di rispondere «molto duramente» contro coloro che vengono dipinti come «perdenti».

Il grande negoziatore che vuole avere successo, aggiunge quasi presentando le sue ambizioni odierne, deve «pensare in grande». Trump si crogiuola apertamente nei paralleli della sua campagna con la sua bibbia personale: «Questo è il maggior deal della mia vita», ha risposto a un intervistatore parlando della Casa Bianca. «Ho chiuso grandi affari in passato, ma questo è come una serie molto complessa di deal che alla fine spero ci possano portare a rendere di nuovo grande l'America», continua senza perdere l'occasione per rilanciare il suo sensazionalistico e onnipresente slogan di campagna elettorale. E di sicuro il suo direttore della comunicazionee, Hope Hicks, ha detto di averlo già letto tre volte.

Ecco che Trump, dalle sue pagine, emerge come un negoziatore «che sorprende la maggior parte delle persone per come lavoro»: dice «I play it very lose», vale a dire appaio flessibile e improvviso. I precetti alle spalle di questa apparenza, però , sono ferrei. Ecco le sette massime principali, in breve:

1. Think Big, una raccomandazione che applicata alla sua campagna ha significato correre subito per vincere ovunque, non solo in qualche Stato.

2. Know your market, che ha voluto dire far leva sulla rabbia e la sfiducia nella politica degli elettori visti come un mercato da soddisfare.

3. Enhance location, sfruttare i vantaggi offerti dalla propria posizione, in questo caso traducendo la celebrità personale in grandi luoghi per attrarre folle crescenti anche in Stati, come Iowa e New Hasmpshire, abituati invece a intimi incontri con i candidati.

4. Get the word out, cioè essere coscienti, per far arrivare il proprio messaggio, che se sei «un po' diverso, scandaloso, se fai cose un po' controverse o aggressive, la stampa scriverà di te».

5. Contain the costs, uno sforzo che si è rispecchiato nel massimizzare il ricorso ai social media - 14 milioni di seguaci - e alle informazioni ricavate nei grandi comizi per raggiungere e ampliare i ranghi dei sostenitori e non le costose pubblicità televisive o esperti di sondaggi professionali.

6. Fight back, rispondere senza esitare agli attacchi, una regola che ha seguito religiosamente. Necessaria, dice, anche se «non mi piace».

7. Have fun, divertirsi. Non c'è dubbio che spesso Trump sia parso l'unico candidato repubblicano felice di essere in gara.

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