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Super Martedì, vincono Clinton e Trump

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Super Martedì, vincono Clinton e Trump

Donald Trump e Hillary Clinton
Donald Trump e Hillary Clinton

NEW YORK – Alla fine di una notte densa di tensioni e sorprese, il Super Martedì ha consacrato due indiscutibili vincitori nella corsa per la Casa Bianca del 2016: Hillary Clinton e Donald Trump. L'ex First Lady, ex Senatore di New York ed ex segretario di Stato ha vinto bene in sette stati: Georgia, Virginia, Alabama, Tennessee, Texas, Massachusetts e Arkansas. Trump, con il suo “movimento”, ha vinto in sei stati: Georgia, Virginia, Alabama, Massachusetts, Tennessee e Arkansas. Ciascuno dei due contendenti di testa dunque si è affermato con largo distacco in termini di delegati sui concorrenti diretti, Bernie Sanders da una parte e Ted Cruz e Marco Rubio dall'altra.

Ma le sorprese non sono mancate. In campo democratico Sanders ha confermato di avere una forte presa sull'elettorato giovane e di sinistra riuscendo a conquistare ben quattro stati, baluardi dei valori più progressisti del partito, il Vermont, il suo stato, il Colorado, l'Oklahoma e il Minnesota. Andrà avanti dunque, rafforzerà la sua piattaforma, ma è difficile immaginare che possa davvero farcela una volta giunti alla convention di Filadelfia. Finora, super delegati inclusi, Sanders è riuscito a mettere insieme 347 delegati, un numero rispettabilissimo, ma non decisivo contro i 984 delegati accumulati finora complessivamente da Hillary, poco meno della metà dei 2.383 delegati necessari per avere la garanzia della nomination. In questo momento perciò (siamo ancora in attesa di una decisione dell'FBI sulle email contestate di Hillary) non ci resta che designare un candidato forte e sicuro per i democratici in Hillary Clinton.

La situazione resta più complicata in campo repubblicano. Trump ha vinto bene ed è di gran lunga in vantaggio sui suoi concorrenti più diretti con 268 delegati contro i 142 di Cruz e i 78 di Rubio. Per avere la certezza della nomination ne occorrono 1.237, Trump dunque ha già compiuto una buona parte del percorso. Ma la corsa repubblicana, nonostante il trionfo di ieri dell'immobiliarista prestato alla politica, resterà più lunga di quella democratica. Per dimostrare credibilità contro chi lo accusa di non avere appoggi fra l'establishment del partito Trump ieri ha sfoggiato al suo fianco il governatore del New Jersey, Chris Christie, che lo ha presentato al pubblico come “il prossimo Presidente degli Stati Uniti d'America”. Ma nel Grand Old Party continua a esserci un braccio di ferro antipatico, con divisioni e acrimonie che non aiutano nella corsa verso l'unità del partito. Il vero establishment infatti non è Chris Christie colpevole, in almeno due casi del suo governatorato, di uno spregevole abuso di potere. E autorevoli membri del partito come Paul Ryan restavano fino a lunedì schierati contro Trump che, fra le altre cose, ha fatto un brutto scivolone, mancando di condannare in modo deciso il Klu Klux Klan.
Da ieri notte però c'è un fatto nuovo che denuncia la forte spaccatura all'interno del partito repubblicano: l'estabishment non sopporta neppure Ted Cruz, che nel suo mandato al Senato ha assunto sempre atteggiamenti più da disturbatore che da statista. E anzi c'è chi dice che fra Trump e Cruz sono in molti a preferire, turandosi il naso, Trump. In molti nel partito, ma qui parliamo della leadership ovviamente e non della base, avrebbero preferito Marco Rubio, figlio di immigrati cubani, volto pulito e giovane del nuovo spaccato demografico americano. Ma Rubio, che avrebbe dovuto tenere bene in molti degli stati ha deluso: si è aggiudicato soltanto il Minnesota, mentre Cruz ha vinto in Texas, il suo stato, in Oklahoma e in Alaska, ma, soprattutto, è arrivato secondo in quasi tutti gli altri nove stati: «Rubio ha fatto malissimo – ha detto Cruz dopo la sua vittoria in Texas –, che si ritiri, che lo faccia per il bene del partito. In questo modo potrò confrontarmi direttamente con Trump e dimostrare che la sua retorica è una retorica confusa, di sinistra e non conservatrice, favorevole a una modifica dell'Obamacare non alla sua eliminazione, in questo modo potrò salvare il partito repubblicano…». Cruz, nel suo discorso si è scagliato con inaspettata veemenza contro Trump, definendolo un traditore dei valori di destra, religiosi e conservatori del partito. Ma Trump che guarda già a novembre, ieri notte non si è certo sognato di fare marcia indietro. “Su alcuni temi sono un conservatore illuminato – ha detto ieri sera – c'è forse qualcosa di male? Quel che sta capitando da un punto di vista storico è la nascita di un movimento. Quando ho fatto il mio annuncio il giugno scorso nessuno, nessuno pensava che sarei arrivato fin qui. Ma nessuno pensava che potesse sorgere un movimento per restituire la grandezza all'America. Hillary Clinton dice: terrò l'America unita. Io dico: rifarò l'America grande”. A parte una forte bordata contro Marco Rubio Trump sta dunque già guardando in avanti a quello che dovrebbe essere il suo scontro diretto con Hillary. Al punto che, in un raro momento di galanteria si è persino congratulato con Cruz per la sua vittoria in Texas, e basta questo per dirci quanto sicuro si senta Trump della nomination finale del suo partito.
In effetti la conseguenza più diretta di questi risultati ancora preliminary del Supertuesday dovrebbe essere un ritiro di Rubio e di John Kasich per lasciare il campo libero per uno scontro diretto e più equo fra Donald Trump e Ted Cruz. Il distacco fra i due, a differenza di quello fra Hillary e Bernie Sanders, è ancora colmabile. Ma nessuno di questi due candidati minori per ora ci pensa: ”Correrò in tutti e cinquanta stati – ha detto Rubio – il meglio per me deve ancora venire, alla fine la nomination repubblicana sarà mia”.

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