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Migranti: oggi scatta il piano di rientro in Turchia, ma la Grecia…

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dopo l’accordo con la Ue

Migranti: oggi scatta il piano di rientro in Turchia, ma la Grecia prende tempo

Due migranti sono stati trovati morti su un barcone arrivato sull'isola greca di Lesbo, nel primo giorno di attuazione dell'accordo tra Ue e Turchia sulla gestione degli arrivi in Grecia. La sovraffollata imbarcazione trasportava decine di migranti provenienti dalla vicina Turchia.

Parte oggi, come prevede l’accordo ancora fresco di inchiostro tra la Ue e Ankara, l’inedita procedura e per molti aspetti controversa, per cui i migranti irregolari, cioè privi di visto regolare che dalla Turchia arrivano in Grecia, saranno rispediti al mittente. Prima però verranno schedati e le loro richieste di asilo verranno prese in carico da funzionari dell'Unione europea.

Ma la Grecia fa sapere che ha bisogno di più tempo per attuare il programma di rimpatrio dei migranti deciso nell'ultimo vertice europeo. «Ci vogliono più di 24 ore», ha detto il portavoce del coordinatore del governo greco per le politiche migratorie, Giorgos Kyritsis, secondo i media greci. Ieri, dopo le dichiarazioni del premier Alexis Tsipras che i rimpatri sarebbero cominciati a partire da oggi, così come prevede l'accordo tra Ue e Turchia, fonti ufficiali greche avevano fatto sapere di «avere bisogno di più tempo».

I paesi partner hanno messo a disposizione un corpo di quattromila persone per gestire l'emergenza nell'emergenza migranti. Mobilitati anche i mezzi navali: per far rientrare i migranti dalle isole dell'Egeo sono state prenotate otto navi con una capacità di 300-400 passeggeri ciascuna e 30 bus.

Oggi scatta inoltre il battesimo del fuoco del controverso principio dell' «uno contro uno»: per ogni siriano che verrà rimandato in Turchia perché non ha i requisiti da profugo, un avente diritto regolare potrà entrare in Europa per un numero massimo di 70mila persone. Un meccanismo che parte oggi e che vuole scoraggiare l'uso dei trafficanti di uomini, ma che diventerà operativo solo dal 4 di aprile.

Così dopo gli annunci del piano migranti tra Ue e Turchia tocca soprattutto alla Grecia, lasciata ancora in un limbo, far fronte all'emergenza sul terreno. Le autorità greche dovranno riallocare 8mila rifugiati bloccati nelle isole dell'Egeo, inoltre il suo sistema di accogliento di domande di asilo dovrà essere potenziato fino a far fronte a ben 10mila nuove domande alla settimana. Una sfida da fra tremare le vene ai polsi a chiunque.
Poi migliaia di migranti in arrivo – tra cui donne e bambini - dovranno essere censiti, schedati e sistemati in tutto il paese prima di essere rimandati in Turchia, probabilmente contro la loro volontà. «Nessuno ha mai fatto nulla del genere prima», dicono ad Atene che per tutto il 2015 è stata travolta dal flusso di 800mila migranti che però vedevano il paese come terra di transito prima di dirigersi in Europa centrale. Ma ora la via Balcanica è chiusa e tutto è sulle spalle della piccola e stremata Grecia.

La Commissione europea ha nominato Maarten Verwey, lo zar della crisi dei migranti, per sorvegliare i preparativi dell'Ue, espandendo le competenze di Bruxelles sulla crisi dei rifugiati in Grecia. «Verwey organizzerà il lavoro e coordinerà l'invio di 4.000 impiegati che saranno necessari», ha detto Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione. «Abbiamo bisogno di funzionari, interpreti, giudici, responsabili per i rimpatri e agenti di sicurezza», ha precisato Juncker.

Il piano speciale sui migranti dovrebbe essere attuato rapidamente secondo i leader dell'Ue: chiunque arriva su un'isola greca dovrà affrontare la prospettiva di essere riportato in Turchia. Il rimpatrio effettivo dei profughi che hanno rischiato così tanto per raggiungere la Grecia avrà inizio effettivamente il 4 aprile.

Il servizio di asilo greco è carente e probabilmente serviranno altri 2.500 impiegati di sostegno provenienti da altri Stati membri per far fronte all'emergenza. Il suo sistema di asilo dovrà anche essere potenziato fino a far fronte a 10mila nuove domande a settimana.
A giudicare dall'esperienza passata, tutto questo lavoro non sarà facile da affrontare. Senza aiuto dei partner europei, il sistema di asilo greco è a rischio sfaldamento, avvertono i funzionari sia greci che europei. La Grecia ha gestito appena 2.000 domande di asilo lo scorso anno. Secondo il piano attuale dovrebbe fronteggiare ogni giorno la stessa cifra di richieste.

E le scorciatoie burocratiche non sono possibili. Se non venissero rispettate le procedure legali il piano potrebbe essere bocciato dal giudizio della Corte europea. Anche prima della crisi, il sistema dei profughi della Grecia era in una tale confusione che la Corte europea dei diritti dell'uomo lo ha giudicato “degradante” e ha vietato ai paesi membri di deportare i richiedenti asilo in Grecia, come le norme Ue in realtà consentirebbero.

Ad aggravare la sfida, Atene deve offrire una sistemazione a lungo termine e verificare le domande di asilo per circa 50mila migranti e rifugiati bloccati dalla chiusura del percorso di migrazione dei Balcani alla Germania il mese scorso. Quei migranti formalmente non sono costretti a tornare in Turchia perché esclusi dagli accordi tra Bruxelles e Turchia.
Atene ha già sollecitato i 13mila siriani, iracheni e afghani che vivono in condizioni drammatiche nel campo di Idomeni al confine greco-macedone a trasferirsi in campi ufficiali, dove possono chiedere asilo, ma senza grandi risultati.

Il governo di Atene ha anche un imperativo economico per cercare di far funzionare il sistema in fretta. Il governo sta cercando di evitare un accumulo di nuovi migranti nelle isole dell'Egeo proprio quando la stagione turistica sta prendendo il via. Le prenotazioni per le vacanze su queste isole - uno dei pochi punti di forza dell'economia - sono già in calo del 30 per cento rispetto allo scorso anno.

Alcuni gruppi di rifugiati hanno definito l'accordo del 18 marzo come un “giorno buio” per l'Europa e i suoi principi costitutivi. Sicuramente sarà anche un accordo molto complicato da applicare sul terreno. «È al limite del diritto internazionale», come ha francamente ammesso Dalia Grybauskaite, presidente lituana.

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