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Dossier Panama Papers, arrestato a Ginevra un informatico di Mossack Fonseca

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    Dossier | N. 10 articoliI Panama Papers

    Panama Papers, arrestato a Ginevra un informatico di Mossack Fonseca

    Un informatico dell'ufficio di Ginevra dello studio legale panamense Mossack Fonseca è stato arrestato nella città svizzera dai magistrati che indagano sul furto di dati che ha dato vita ai Panama Papers. L'uomo è sospettato «di aver prelevato una grande quantità di informazioni riservate», ha rivelato al giornale ginevrino Le Temps una fonte vicina alle indagini. Il Ministero pubblico di Ginevra (l'equivalente della procura della Repubblica italiana) ha confermato che «un procedimento» è stato aperto in seguito a una denuncia depositata da Mossack Fonseca.

    I magistrati hanno ordinato una perquisizione nei locali di Ginevra dello studio panamense e hanno sequestrato numeroso materiale informatico. Sono in corso indagini per verificare se il dipendente della Mossack Fonseca arrestato ha sottratto le informazioni diffuse sui giornali di tutto il mondo lo scorso aprile. Secondo Le Temps, l'uomo è accusato di «sottrazione di dati», di «indebito accesso al sistema informatico» e di «abuso di fiducia». Non ci sono prove, però, al momento che sia stato lui a sottrarre effettivamente i dati alla base dei Panama Papers. Il dipendente della Mossack Fonseca avrebbe respinto ogni accusa.

    Lo scandalo degli evasori fiscali

    Il 3 aprile scorso i giornali aderenti all'International consortium of investigative journalists (per l’Italia il settimanale L’Espresso) avevano pubblicato i documenti prelevati dai server della Mossack Fonseca, uno dei più grandi studi legali di Panama, specializzato nella costituzione di società-fantasma. Quello dei Panama Papers è il più grande furto di dati della storia: 2,6 terabyte di file, 11,5 milioni di documenti relativi a società, trust, fondazioni e fondi domiciliati in 21 paradisi fiscali, da Hong Kong al Nevada. I file coinvolgono persone residenti in più di 200 paesi.

    Leggi il Dossier sui Panama Papers

    I file erano stati consegnati a due giornalisti del quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung da una fonte anonima che si era qualificata con il nome di John Doe (che equivale al Mario Rossi italiano). John Doe aveva poi inviato al giornale tedesco un testo in cui spiegava le motivazioni del suo gesto. Nel suo “manifesto”, il whistleblower affermava di aver deciso di rivelare i documenti di Mossack Fonseca «perché ho pensato che i suoi fondatori, i dipendenti e i clienti debbano rispondere per i loro ruoli in questi crimini, di cui solo alcuni sono venuti alla luce finora».

    Il whistleblower aveva aggiunto di non lavorare per nessun governo o servizio segreto né di averlo mai fatto in passato. «I media hanno fallito - aveva sostenuto -. Molti network sono parodie di loro stessi, singoli miliardiari sembrano aver presso possesso dei giornali solo per hobby, limitando la copertura di argomenti seri riguardo la ricchezza, mentre seri giornalisti investigativi hanno scarsi fondi».

    «Ma più di tutto - aveva aggiunto il fantomatico John Doe - ha fallito la professione legale. Le democrazie dipendono da individui responsabili all'interno di tutto il sistema che comprendono e sostengono la legge, non da chi la capisce e la sfrutta. Mossack Fonseca non ha agito da sola nel nulla. Nonostante multe ripetute e documentate violazioni normative, ha trovato alleati e clienti presso importanti studi legali praticamente in ogni nazione. L'impatto di tutti questi fallimenti - aveva proseguito il whistleblower nella lettera pubblicata dal Suddeutsche Zeitung - è stato una completa erosione degli standard etici».

    L’appello di John Doe

    «I whistleblowers legittimi - aveva poi concluso - quelli che smascherano delitti incontestabili, devono godere dell'immunità, non essere puniti dagli Stati. Punto. Fino a quando i governi non avranno promosso leggi per la protezione dei whistleblowers, magistrati e investigatori dovranno semplicemente contare sulle proprie risorse oppure sui media che pubblichino i documenti dandone una diffusione globale. Faccio appello alla Commissione europea, al Parlamento britannico, al Congresso degli Stati Uniti e a tutte le nazioni perché operino con grande celerità non solo per proteggere i whistleblowers, ma anche perché pongano fine agli abusi nascosti nei registri delle società. Nell'Unione europea infatti i registri di ogni Stato membro dovrebbero essere accessibili gratuitamente e contenere dettagli, disponibili a tutti, sui nomi dei beneficiari finali delle società stesse».

    Si vedrà dalle indagini dei magistrati di Ginevra se l'informatico fermato oggi è il fantomatico John Doe.

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