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Le autorità iraniane: abbiamo sventato un grosso attentato

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Le autorità iraniane: abbiamo sventato un grosso attentato

Le guerre parallele in Siria e in Iraq, le tensioni con l’Arabia Saudita e la sempre più aspra contrapposizione settaria tra sciiti e sunniti minacciano anche la stabilità interna dell’Iran? È un’ipotesi che sembra più concreta dopo l’annuncio di Teheran che sono stati sventati «complotti terroristici di gruppi jihadisti di matrice wahabita» in procinto di seminare bombe nella capitale e in altre regioni della Repubblica islamica, con decine di arresti e sequestro di esplosivi. Mancano i dettagli anche se in un comunicato, attribuito al capo del Consiglio di sicurezza nazionali Alì Shamkani, si parla della possibilità di un attentato a Teheran in occasione della commemorazione di Khadija, moglie di Maometto, in pieno Ramadan.

Potrebbe trattarsi di un cambio di paradigma anche per l’Iran, che nel tempo ha dovuto affrontare diverse minacce terroristiche, di matrice curda, araba, dei Mujaheddin Khalq e nella regione del Balucistan ai confini con l'Afghanistan, ma finora mai quella di chiara marca jihadista.

È interessante sottolineare che Shamkani, originario del Kuzhestan, è di etnia araba, non persiana: la minoranza araba in Iran, circa il 10% su 80 milioni - che costituisce anche una porzione della popolazione seguace dell’ortodossia sunnita - è stata spesso in questi anni protagonista di sollevazioni e rivolte duramente represse. Viene considerata dal regime degli ayatollah una sorta di “quinta colonna” che simpatizza per gli arabi e il sunnismo.

Fortemente impegnato con la Russia di Vladimir Putin sul terreno a sostegno dell’esercito di Assad in Siria e in Iraq a fianco delle truppe governative anti-Califfato, l’Iran è la potenza regionale più direttamente coinvolta nello scontro mediorientale. I Pasdaran, le guardie della rivoluzione, sono presenti in Siria come “consiglieri militari” affiancati ufficialmente da elementi dell’esercito iraniano mentre gli Hezbollah sciiti libanesi, legati a Teheran, hanno costantemente combattuto in questi anni a fianco del regime alauita.

In Iraq il governo a maggioranza sciita di Baghdad è strettamente legato all’Iran e anche qui i Pasdaran e le milizie sciite addestrate da Teheran costituiscono, insieme ai peshmerga curdi, i battaglioni schierati contro l’Isis. Allo stesso tempo i sunniti iracheni temono le milizie sciite e le loro vendette in una spirale di guerriglia e attentati che sembra non avere mai fine. Anche in Yemen Teheran è protagonista, in quanto sostiene gli sciiti Houthi in guerra aperta con la monarchia saudita, finora incapace di cogliere una vittoria militare nel cortile di casa, in un conflitto largamente ignorato dai media e che si è trasformato in una sorta di Vietnam mediorientale.

Sauditi e iraniani sono sempre più ai ferri corti perché coinvolti in una guerra per procura che sta scuotendo un’intera regione con effetti devastanti che hanno avuto ripercussioni in Europa con le ondate dei profughi e gli attentati del terrorismo filo-jihadista in Francia e Belgio. Dopo la caduta di Falluja in Iraq si sta stringendo la morsa intorno a Raqqa, capitale siriana del Califfato di Al Baghdadi. Lo scontro tra Riad e Teheran, che ha avuto evidenti riflessi anche sull'Opec e le quotazioni del petrolio, ha assunto caratteri sempre più settari: in gennaio i sauditi hanno messo a morte lo sceicco sciita al-Nimr insieme a una quarantina di oppositori e qualche settimana fa Teheran ha sospeso l’hajj, il pellegrinaggio alla Mecca, uno dei cinque pilastri dell’Islam, per mancanza di sufficienti garanzie di sicurezza.

Ecco perché Siria e Iraq rappresentano un terreno di battaglia politico, militare e religioso: la sconfitta dell’Isis, per quanto ufficialmente sconfessato da Riad e dalla Turchia, costituisce un’altra battuta d’arresto per il mondo sunnita - come lo fu nel 2003 la caduta di Saddam Hussein - che sostenendo altri gruppi jihadisti e radicali spera di ricavare dalla fine del Califfato di al-Baghdadi un’area di influenza sunnita per controbilanciare l’Iran. Tutto questo in un

quadro geopolitico in movimento e per nulla definito: l’accordo sul nucleare e le sanzioni voluti dagli Usa con Teheran nel luglio scorso costituisce una sorta di incubo strategico per Riad, che ha inviato la settimana scorsa a Washington Mohammed bin Salman, il vice-principe ereditario, per rinsaldare i rapporti tra Arabia Saudita e Stati Uniti. Il cambio di presidenza americana potrebbe di nuovo cambiare la mappa del Medio Oriente.

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