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Ue senza timone nella bufera banche

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L'Editoriale|Europa

Ue senza timone nella bufera banche

Passano i giorni ma non passa la bufera che scuote le maggiori banche europee. Men che meno l’inazione europea. Sono trascorse solo due settimane dal referendum che ha scatenato il terremoto Brexit: ai mercati sono bastate per tagliare di un terzo il valore dei titoli bancari in Borsa.

Passano i giorni, gli istituti italiani restano i più penalizzati, epicentro degli attacchi speculativi, scintilla di un possibile disastro sistemico con inevitabili contraccolpi sulla stabilità dell’eurozona e la tenuta della magra ripresa in atto, ma i negoziati tra Roma e Bruxelles ancora non hanno partorito un accordo per evitare il peggio.

Più passa il tempo e più aumentano i rischi di una crisi fuori controllo, di una riedizione ben più devastante della bollente estate del 2012 . Senza gli stessi ammortizzatori della Bce. Senza il paracadute dell’unione bancaria, per ora europea solo nella vigilanza ma non nella risoluzione delle crisi, le ricapitalizzazioni riposano tutte sulla dimensione nazionale, men che meno nella garanzia dei depositi. Mai come oggi una vera unione bancaria sarebbe necessaria ma nessuno, nell’Europa del nord, ne vuole sentire parlare.

Wolfgang Schäuble dice però che l’accordo sulle banche italiane va fatto, ovviamente nel rispetto delle regole Ue sul bail-in, che consentono flessibilità per gli aiuti pubblici. Nonostante la benedizione del potente ministro delle Finanze tedesco, che non ignora le pesanti sofferenze anche delle proprie banche sui mercati e per questo tanto più teme il contagio, nessuno apparentemente si affretta a chiudere una partita estremamente pericolosa. Per tutti. Perché? Perché, nella sua disorientata follia, l’Europa, che non riesce ad accordarsi per bloccare la speculazione sulle sue banche procurandosi così il salvacondotto della sopravvivenza post-Brexit, riesce però, e nel momento più sbagliato, a scatenare in parallelo una feroce guerra inter-istituzionale. Che forse non paralizza ma di certa rallenta molto le sue decisioni.

Bersaglio, la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, improvvisamente diventata l’origine di tutti i mali europei: di Brexit ma prima della mancata politica migratoria, del mancato rispetto delle regole del patto di stabilità, di arbitrarietà nella gestione della politica commerciale, di eccessiva irruenza e arroganza politica, di scarsa acquiescenza ai desiderata dei governi. Peraltro schizofrenici negli attacchi: chi l’accusa di fare troppo e chi troppo poco, l'attaccano gli europeisti come gli euroscettici.

C’è chi chiede la testa di Juncker e chi vorrebbe liberarsi di un’istituzione diventata scomoda per tagliare dritto verso il puro assetto intergovernativo: lo auspicano i Paesi dell’Est, lo propone apertamente anche Schäuble. Ironia vuole che l’aggressione quasi quotidiana, scandita dal mantra “tutta colpa dei tecnocrati non eletti di Bruxelles”, accomuni i governi ai movimenti populisti che li minacciano.

In questo clima ostile la Commissione Juncker, che ha alcune macchie ma non tutte, oscilla tra l'ansia del gran gesto liberatorio, dimissioni del presidente o dell’intero esecutivo, e la ritirata sull’Aventino, sul metodico indecisionismo con cui si auto-priva dei propri poteri istituzionali per scaricare tutte le responsabilità delle decisioni sui governi, che in ogni caso esondano con il loro autoritarismo esclusivo.

Anche per questo i negoziati tra Italia e Bruxelles stentano ad arrivare rapidamente in porto (ora il via libera di Schäuble dovrebbe accelerarli). È così che si è arenato sulla ratifica l’accordo di libero scambio Ue-Canada. Ed è così che anche sulla gestione del patto di stabilità, e sull’opportuntà politica di comminare o meno le previste multe a Spagna e Portogallo per violazione degli impegni anti-deficit, Bruxelles preferisce lavarsene le mani affidando la decisione ai ministri dell’Eurogruppo, lunedì prossimo.

«Nessuno vuole cacciare Juncker, si vuole semplicemente depotenziare la sua Commissione e il metodo comunitario» denuncia qualcuno. Accetterà Juncker di guidare un’istituzione commissariata, sottomessa alla pubblica e soverchiante tutela dei governi? Le dimissioni nell’attuale quadro sarebbero un’arma spuntata: farebbero il gioco di chi vuole sbarazzarsi delle intermediazioni istituzionali per riappropriarsi dei poteri sovrani ceduti e imboccare senza più remore l’opzione tutta intergovernativa. Il braccio di ferro è in corso e non si sa come si concluderà.

Era indispensabile ingaggiarlo con l’Europa sul ciglio di un nuovo abisso finanziario? C’è bisogno di unità e di lucidità per superare la crisi bancaria con la moneta unica ma senza un sistema bancario unico. Altro che guerre di ventura eterodirette da miopi populismi o da scadenze elettorali ravvicinate. Se si continua così, poi un giorno non si potrà piangere sul latte europeo versato.

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