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La flessibilità inevitabile nell’Europa dopo Brexit

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La flessibilità inevitabile nell’Europa dopo Brexit

Che alla fine si verifichi o no, Brexit per ora è un grande oggetto misterioso: per gli inglesi che l’hanno scelto e per gli europei che lo subiscono. Sulle sue conseguenze di medio-lungo periodo impossibile decifrare il futuro, anche se la fulminea scelta di Theresa May, da domani sera il nuovo inquilino di Downing Street, potrà cominciare a dissipare alcune incertezze.

Le conseguenze immediate per l’Europa sono invece evidenti e negative: volatilità dei mercati finanziari, crisi bancaria, rallentamento di una ripresa economica già magra. Il tutto proprio nell’anno in cui, annuncia Eurostat, per la prima volta nella sua storia l’Unione registra una crescita demografica negativa, sia pure mascherata dall’impennata dei flussi migratori. E quando la popolazione non aumenta, il tasso di sviluppo segna il passo.

C’è però anche un effetto positivo indiretto, sia pure da verificare nel tempo: l’Europa aveva bisogno di uno shock salutare, della “fuga” senza precedenti di uno dei suoi Paesi più importanti, per ricompattarsi, capire di non potere giocare con il fuoco dei malumori dei suoi cittadini restandone indenne, imparare anche a non esagerare con il rigore delle regole di convivenza interna.

La riunione ieri sera a Bruxelles dei ministri finanziari dell’Eurogruppo e oggi dell’Ecofin non poteva ignorare le nuove variabili di un panorama obiettivamente difficile. Per non smentire patti e direttive vigenti ma renderli al tempo stesso più vivibili per tutti si ripiega dunque sul solito esercizio di lucida schizofrenia.

Formalmente le regole non si toccano, anzi se ne ribadisce l’intangibilità. Di fatto ne viene adeguata l’attuazione ai tempi grami del momento, estendendone al massimo i margini di flessibilità. Tanto più che oggi, a soffrire per i contraccolpi di Brexit ma anche e soprattutto per i problemi strutturali accumulati, non sono solo le banche italiane ma anche quelle tedesche, da Deutsche Bank alle Landesbanken.

Ed è così che il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, minimizzando l’emergenza italiana, dice che le regole del bail-in vanno rispettate ma per farlo va «dato tempo al dialogo costruttivo in corso tra Roma e Bruxelles». Per certi versi l’aperturismo del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble è ancora più esplicito: inutile speculare sulle decisioni che verranno prese, bisogna prima vedere l’esito degli stress test di Eba e Bce, che arriverà il 29 luglio, e poi applicare la normativa in vigore che però consente «di affrontare tutti i tipi di situazioni».

L’Europa in quanto tale, insomma, resta il ben noto pompiere riluttante che per ora non intende mutualizzare problemi, rischi e meno che mai costi. Però questa volta ha capito che l’incendio va assolutamente contenuto prima che dilaghi. Grexit è una lezione che non è passata invano. Ma a farsi carico di spegnerlo dovranno essere i vari sistemi nazionali secondo la gerarchia prevista dal bail-in. E senza escludere che alla fine intervengano anche aiuti pubblici.

La stessa logica delle regole da rispettare ma al tempo stesso da ammorbidire sembra sempre più destinata a plasmare la gestione del patto di stabilità. Spagna e Portogallo sono passibili di sanzioni (fino allo 0,2% del Pil) per violazione manifesta dei criteri antideficit eccessivo (3% massimo): la prima l’anno scorso ha messo a segno un 5,1% contro il 4,2% concordato, il secondo 4,4% contro il 3% pattuito.

Madrid è da mesi senza governo e nemmeno le ultime elezioni di giugno hanno dato un responso netto. Entrambi i Paesi hanno un clima sociale pesante e un’economia che non brilla. «È possibile che si finisca con zero sanzioni, dipenderà dalle proposte che i due Paesi faranno per risolvere i loro problemi» ha affermato Dijsselbloem.

Nessuno ha voglia di provocare ulteriori risentimenti in opinioni pubbliche già abbastanza anti-europee . Ma nemmeno di distruggere i patti europei. Come nel caso delle banche, si tratta di un delicato gioco di equilibrismi politici e semantici perché i nervi scoperti delle società del Nord non sono gli stessi di quelli delle società del Sud. Però Brexit, l’effetto contagio che può trascinarsi dietro, la spallata che può imprimere alla tenuta del mercato unico, oggi non consentono di mandare in scena il copione dell’Europa alla deriva perché divisa e inconcludente. Troppo grandi i rischi per tutti: unico vaccino efficace, un esercizio di unità. Non importa se di malavoglia.

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