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Anche le banche centrali ora investono in Borsa. La Swiss Bank ha azioni…

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politica monetaria

Anche le banche centrali ora investono in Borsa. La Swiss Bank ha azioni Apple e Coca-Cola. La Banca d’Italia Ferrari e titoli di Wall Street. Quali limiti per la politica monetaria?

C’erano una volta il tempo in cui le banche centrali alzavano o abbassavano i tassi per regolare, come si fa con un normale termostato, la temperatura dell’economia. Quando questa (e in particolare l’inflazione) si surriscaldava le banche centrali aumentavano i tassi per frenare la richiesta di crediti e ridurre la velocità della circolazione della moneta. Quando invece l’economia si raffreddava le banche centrali facevano l’opposto riducendo i tassi (e quindi il costo del denaro) per stimolare prestiti (e di conseguenza) consumi e investimenti.

Queste manovre oggi sembrano lontane anni luce dato che le banche centrali sono chiamate, in un mondo neppure contemplato dai testi di economia, a fronteggiare la nuova era dei tassi bassi, una spirale che esse stesse in realtà hanno creato (a cominciare dalla Federal Reserve statunitense) nel tentativo di tamponare gli eccessi della finanza nell’economia reale che hanno portato alla grande bolla dei derivati subprime scoppiata nel 2008. Evento dopo cui il mondo occidentale è cambiato.

Nella nuova era dei tassi bassi/negativi l’azione delle banche centrali sui tassi si è ridotta al lumicino (proprio perché queste hanno pressoché azzerato il costo del denaro) proiettandosi nella dimensione a leva del quantitative easing, l’acquisto di titoli sui mercati da parte della banche centrali. Hanno iniziato nel 2009 Stati Uniti e Gran Bretagna e poi a ruota si sono aggiunte le altre più importanti banche centrali. Ultima, nel 2015, la Banca centrale europea. Sia ben chiaro, le banche centrali comprano titoli sui mercati aperti (mercato secondario) e non nel sul mercato primario (ovvero all’asta durante l’emissione). Negli anni ’70 intervenivano anche sul mercato primario ma poi, per evitare ingerenze tra politica monetaria e politica fiscale, chi prima chi dopo (in Italia è accaduto nel 1981) le banche centrali hanno divorziato dai rispettivi ministeri del Tesoro assumendo una connotazione indipendente non potendo tecnicamente più intervenire sul mercato primario.

Nell’esercizio del quantitative easing le banche centrali acquistano in primo luogo titoli di Stato. Così facendo schiacciano la curva dei rendimenti riducendo la spread (differenza) tra quando rende un titolo a breve scadenza e il tasso di un titolo a lunga. Ad esempio il BTp a 2 anni oggi è leggermente negativo a fronte del BTp a 10 anni vicino all’1%. Quindi tra il biennale e il decennale italiano ci sono appena 100 punti di base di rendimento. Un premio al rischio troppo basso in rapporto alla durata dell’investimento che nella logica delle banche centrali dovrebbe spingere i risparmiatori a drenare risorse dal mondo finanziario e a direzionarle nel mondo dell’economia reale, aumentando consumi e investimenti.

Questo però non sta accadendo. E la riprova la si ha osservando il tasso di inflazione che nell’Eurozona è piatto (0,2% come molti Paesi, soprattutto nel Sud Europa in piena deflazione), così come in Giappone. In più le prospettive di inflazione a medio termine (5 anni) non sono mai state così basse nell’Eurozona e proiettano oggi un’inflazione quinquennale all’1,2%, molto lontano dall’obiettivo della Bce (e delle altre più importanti banche) “inferiore ma vicino al 2%”.

Ecco perché le banche centrali hanno deciso di aumentare il bouquet dei titoli acquistabili. Non solo titoli di Stato, ma anche titoli di aziende private. Da questa estate la Bce sta comprando anche obbligazioni in euro emesse da aziende private. Da agosto ha iniziato anche la Bank of England. L’effetto si vede: i prezzi delle obbligazioni corporate stanno salendo e i rendimenti, che si muovono in direzione opposta, stanno scendendo. Con il rischio che anche in questo campo si creino distorsioni e potenziali bolle speculative (come quella in atto sui titoli di Stato europei con 18 Paesi che si trovano su varie scadenze con tassi negativi sul debito).

Ma non finisce qui. Nei bilanci delle banche centrali stanno ormai entrando anche le azioni. Dopo il mercato dei bond anche le Borse stanno finendo nell’orbita di una politica monetaria globale sempre più aggressiva. La Bank of Japan detiene azioni ed Etf per un controvalore di 98 miliardi di dollari. La Banca centrale Svizzera detiene azioni per un controvalore di 200 miliardi di dollari. Si tratta in particolare di blue chip statunitensi. Tra queste in prima fila ci sono le azioni Apple (oltre 15 milioni di titoli per un controvalore vicino a 1,5 miliardi di dollari) e Coca-Cola (poco meno di 13 milioni di titoli per un valore da mezzo miliardo). La Swiss national bank acquista azioni lontano da casa per evitare rivalutazioni del franco e impatti negativi sulla capacità di esportare del Paese. Diversa fu la politica della Banca centrale di Hong Kong che nella seconda metà degli anni ’90 risollevare l’economia acquistò il 10% dell’indice di Borsa Hang Seng. Una mossa che scatenò un rally in Borsa del 40% in due mesi e superiore al 100% in 18 mesi.

Tra le altre banche che oggi detengono azioni figurano anche la Banca centrale della Repubblica Ceca e quella di Israele mentre la Federal Reserve per statuto non può acquistarle. C’è chi ipotizza che nei prossimi mesi anche la Banca centrale europea possa rompere questa barriera e iniziare ad acquistare titoli azionari. L’obiettivo resta sempre quello di creare un po’ di inflazione e rinormalizzare il ciclo economico. Anche se non mancherebbero le perplessità con molti pronti a scommettere che i rischi (creare una bolla sul mercato azionario) potrebbero essere superiore ai benefici (debole speranza di risollevare l’inflazione).

In ogni caso, non è da escludere in futuro una mossa del genere da parte di Francoforte. E la Banca d’Italia? Per quanto non abbia ormai più sovranità in termini di politica monetaria per ciò che riguarda l’Italia, l’istituto di Via Nazionale in portafoglio, a ben vedere, qualche azione ce l’ha: oltre 7 milioni di azioni di Cnh, 685mila titoli della Ferrari e quasi 7 milioni di Fiat Chrysler. Oltre a ciò la Banca d’Italia è investita sull’indice S&P 500 con due Etf che ne replicano l’andamento. L’ammontare dell’investimento è superiore a 1,3 miliardi. Occhio, perché l’S&P 500 a questi livelli quota 19,6 volte gli utili attesi. Un multiplo da bolla.

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