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Trump dopo la vittoria: nel suo primo discorso cambio di registro e…

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L'Analisi|L’analisi / l’america

Trump dopo la vittoria: nel suo primo discorso cambio di registro e moderazione

Donald Trump ha guidato ieri notte una spettacolare rivoluzione popolare americana, vincendo contro ogni previsione la Presidenza degli Stati Uniti e impegnandosi a ritrovare “ il destino del nostro paese”. Si è trattato di una vittoria a tutto campo. Di un trionfo in quasi ogni angolo del paese che gli ha consentito di trascinare le maggioranze al Senato e alla Camera, assicurandosi la possibilità di governare con ampio margine di manovra.

Ma Trump il decisionista, il provocatore ha dato una dimostrazione di apertura al dialogo quando ha ringraziato i suoi sostenitori e l'America intera “per il grande onore di guidare il paese”. Il Presidente eletto ha già a aperto al resto del mondo promettendo di “tutelare per prima cosa gli interessi degli Stati Uniti d'America ma di voler trattare con ogni nazione in modo equo ed equilibrato”.

Trump ha dunque compiuto il miracolo e ha dato voce a una ribellione diffusa contro l'establishment nel momento in cui, intorno alle tre del mattino ha vinto il Wisconsin conquistando 276 voti elettorali. Un voto quello del Wisconsin a sua volta storico, lo stato era da sempre, dall'ultima elezione di Ronald Reagan nel 1988, una roccaforte del partito democratico. Solo questo dato ci dà la misura della forza della sua vittoria. Una vittoria che non è però piaciuta ai mercati, si teme che Trump possa chiudere barriere e azzoppare i commerci mondiali, per questo le borse a partire da quelle asiatiche hanno paerto tutte in forte ribasso. Ma Trump ha cercato subito di rassicurare. Poco dopo aver superato la soglia fatidica dei 270 voti elettorali per accedere alla Casa Bianca, il Presidente eletto è apparso all'Hilton a New York accolto da urla “USA” “USA”. Il pubblico era contagiato da un entusiasmo incontenibile.

Trump ha aperto dicendo di aver ricevuto la chiamata di Hillary Clinton e di aver ricevuto le sue congratulazioni per la vittoria. “L'ho ringraziata e mi sono a mia volta congratulato con lei, abbiamo nei suoi confronti un grosso debito di gratitudine per il suo servizio al paese. E a ogni democratico repubblicano in questa nazione dico: dobbiamo riunirci e tornare ad essere un unico popolo. Mi impegno di essere il Presidente di tutti”. Di un processo a Hillary, di mandarla in prigione, della Hillary “truffaldina” non si parla più. Trump ha capito che deve gettare un ponte per superare le molte ostilità che lo accoglieranno comunque a Washington.

Per questo si è rivolto a chi non lo ha appoggiato e ha detto che chiederà aiuto e consiglio in modo da poter sanare le spaccature: “Come ho detto fin dall'inizio la nostra non era una campagna ma un movimento. Un movimento per servire il popolo”. Trump ha affermato che lavorando insieme si potrà ricostruire il paese e rinnovare il sogno americano: “Gli uomini o le donne dimenticati non lo saranno dimenticati. Ricostruiremo le nostre infrastrutture e metteremo milioni di persone al lavoro. Ci occuperemo dei veterani”.

Trump ha ringraziato la moglie Melania, la prima First Lady ex modella in pose anche esplicite e provocatorie, la famiglia, l'ex sindaco di New York Rudy Giuliani che lo ha appoggiato anche nei momenti più difficili. E ha promesso di mettersi al lavoro subito, da domani quando penserà alla squadra per la sua Casa Bianca. Il Tycoon, l'immobiliarista, l'outsider della politica ha fatto storia tre volte, è il primo non “professionista” ad accedere alla Casa Bianca; è il primo candidato a vincere contro l'establishment del suo partito e contro l'establishment in genere, anche quello dei media tradizionali, riuscendo a trascinare vittorie in Parlamento sia al Senato che alla Camera; è il primo candidato ad aver sfruttato a suo vantaggio media e Internet per minimizzare la dipendenza da investimenti esterni.

La rivoluzione è a tutto campo. È il Wisconsin ad esempio, non la Florida o l'Ohio a diventare il simbolo di questa vittoria. Si è capito quasi subito che le cose per Hillary Clinton si mettevano male quando la sua vittoria in Virginia, data per certa, arrivava con difficoltà. Lo smacco della Virginia, vinta poi di misura è stato il primo vero campanello di allarme: Hillary aveva scelto Tim Kaine, amatissimo senatore della Virginia come suo compagno di corsa proprio per garantirsi uno stato chiave. Poi in successione ha perso male in Florida e in Ohio, si è capito che nel paese si era sviluppato un effetto traino importante per Trump, il candidato solitario partito nella sua avventura elettorale l'estate dello scorso anno tra l'ironia della maggioranza dei commentatori.

Poi c'è stato un tweet di Hillary rivelatore: voglio ringraziare tutti coloro che hanno lavorato con me. Ha scritto. Poi un Tweet di Obama “ci sarà sempre l'alba di un nuovo giorno”, messaggi che non suonavano come un inno alla vittoria. È stato a quel punto che la marcia di Trump nel paese si è fatta inarrestabile. A parte alcuni stati delle coste decisamente democratici e progressisti, New York, il New Jersey, la California ed altri come il Colorado, il resto della mappa americana era coperto di stati colorati di rosso. Ha vinto persino la Pennsylvania, lo stato dove Hillary si era congedata dalla campagna elettorale con il marito Bill, la figlia Chelsea, Barack e Michelle Obama e con stelle dello spettacolo come Bruce Springsteen o Bonjovi. Ma l'organizzazione, la tenacia, la preparazione di Hillary non sono bastate. L'America preferisce guardare in avanti non indietro e troppo nella sua campagna suonava stantio. Di questo però non se ne accorgeva nessuno, non gli oltre 300 media che hanno appoggiato Hillary contro i nove a favore di Trump, non i sondaggisti che hanno ingannato tutti con previsioni coerenti fra diverse agenzie che davano Hillary largamente favorita. Si è cosi creata quella dicotomia tra la fotografia ufficiale di quel che sembrava capitare nel processo elettorale americano e quel che capitava davvero nell'epicentro della rivoluzione Trumpiana. L'esempio concreto e unico di una democrazia popolare in mobilitazione, decisa a cambiare una pagina della sua storia, anche a costo di fare un salto nel buio.

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