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Trump: il conflitto d’interessi? Non ho nessun obbligo legale

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Trump: il conflitto d’interessi? Non ho nessun obbligo legale

NEW YORK - È un Trump d'annata quello che abbiamo visto ieri nell'incontro con il New York Times: infischiandosene delle percezioni, della correttezza politica e della sensibilità della Capitale e dei media, Trump ha detto che non esiste un problema tra i suoi affari e la presidenza americana. «La legge è dalla mia parte, non c’è nessun obbligo legale per fissare un confine tra presidenza e interessi economici, se dovessi ascoltare certe persone non potrei neppure vedere mia figlia Ivanka!». Poi, sornione, ha aggiunto: «La mia responsabilità è la Casa Bianca ed è giusto che arrivato alla mia età faccia un passo indietro a favore dei miei figli». Poi la provocazione: «Certo, penso che sarei in grado di gestire entrambe le mansioni... Liquidare il mio patrimonio? Molto difficile, visto che si tratta di immobili».

Prove tecniche di presidenza: Trump risponde al New York Times

A un certo punto Trump ammette che il nuovo albergo a Washington, “Trump International Hotel”, vale più che in passato e che la presidenza aiuta e aiuterà il suo “brand”: «Oggi è certamente più “caldo” di quanto non fosse prima delle elezioni», ha detto. Di nuovo candido, aperto contro ogni forma di correttezza politica o contro certe forme di ipocrisia: del resto è la strategia che gli ha fatto vincere la Casa Bianca e con cui intende governare e non si vede perché dovrebbe cambiare ora che è al vertice della sua popolarità.

Per il suo incontro con la sua nemesi elettorale, Trump ha aspettato ieri fino all'ultimo secondo, poi ha deciso di rompere gli indugi e recarsi nella tana del lupo. Si è incontrato con gli editori, Arthur Sulzberger e altri due membri della famiglia che controlla il quotidiano e con ben 20 giornalisti inclusi il direttore Dean Baquet e colleghi come Joe Kahn, Matt Purdy, Tom Friedman o Maureen Dowd per una chiacchierata “on the record”.

E in effetti sono piovute molte notizie: «The Donald» non aprirà un'inchiesta contro Hillary Clinton; è deciso ad essere “aperto” nei confronti degli accordi per l'ambiente purché non danneggino le aziende americane; ha negato che il suo consigliere Stephen Bannon sia un razzista; ha sconfessato la destra estremista che lo ha appoggiato in campagna elettorale. Abbiamo visto insomma la versione “pragmatica” del Donald, aperta al dialogo con l'opposizione. Ma la notizia nella notizia, beh, è il semplice fatto che sia stato lui a recarsi al New York York Times, il nemico di sempre nel mondo dei media, per affrontare giornalisti che considera ostili e non viceversa.

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Il Trump che riceve in pompa magna aspiranti ministri nelle sue proprietà, che ha fatto storia in queste elezioni “disintermediando” il ruolo dei giornali tradizionali, ha deciso di dare ieri al New York York Times un peso specifico superiore a quello che ha dato a tutte le reti televisive americane messe insieme, con cui si era incontrato collettivamente lunedì pomeriggio “off the record”.

Trump è arrivato all'appuntamento alle 13, nella sala di consiglio del quotidiano per una “colazione di lavoro” a base di salmone, filetto e dolci «che nessuno ha toccato», come ha osservato uno dei giornalisti. Ogni tematica affrontata nella conversazione è stata rilanciata su Twitter in tempo reale. Una stretta di mano con l'editore Sulzberger, poi all'attacco : «Ho molto rispetto per il New York Times, ma credo di essere stato strapazzato, maltrattato oltremodo, infatti – ha aggiunto parlando sempre in tono moderato – il New York Times è stato il più duro di tutti nella copertura della mia campagna, il Washington Post è stato cattivo, ma ogni tanto un buon articolo riuscivano a infilarlo». Poi è passato ai temi del giorno, cominciando con il rassicurare sul Primo emendamento alla Costituzione che protegge le libertà di stampa e di espressione : «Credo che sarete tutti molto soddisfatti della mia interpretazione di quell'articolo».

E su Hillary Clinton, aprirà un'inchiesta con il dipartimento per la Giustizia? «No - ha risposto - ha sofferto abbastanza, un'azione di quel genere spaccherebbe il Paese e se i miei sostenitori saranno delusi spiegherò loro perché è più importante salvare il Paese, e non credo che saranno delusi... Ci siamo occupati fino alla nausea delle email di Hillary Clinton, la mia idea è guardiamo oltre». Un Trump acrobata oltre che pragmatico, insomma, ben lontano dalla retorica aggressiva di una campagna elettorale che appare ormai molto lontana nel tempo. Adesso occorre governare.

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