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Il ministro degli Esteri di Trump è contro le sanzioni alla Russia

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la scelta di tillerson

Il ministro degli Esteri di Trump è contro le sanzioni alla Russia

Il ceo di ExxonMobil Rex Tillerson
Il ceo di ExxonMobil Rex Tillerson

NEW YORK - È “l'amico americano” di Mosca. Non è un'accusa, è il suo titolo: tre anni or sono è stato premiato dalla Russia con l'ingresso nell'Ordine dell'Amicizia. E oggi, considerato la probabile scelta per la poltrona di Segretario di Stato di Donald Trump, potrebbe diventare il suo asso nella manica o la sua condanna senza appello. Rex Tillerson avrebbe in mano il timone della diplomazia americana ma in tasca potrebbe pesargli quell'onorificenza che si era meritato sul campo, grazie ad accordi con la sua vecchia conoscenza Vladimir Putin - una frequentazione ventennale - in grado di far diventare il chief executive di Exxon Mobil uno degli uomini d'affari occidentali con maggiori entrature al Cremlino.

È un rapporto che non sembra essersi incrinato con l'invasione della Crimea, l'aggressione all'Ucraina o le atrocità del regime di Assad in Siria sostenuto da Mosca e denunciate da Washington e dall'Europa. E neppure con le conseguenti sanzioni occidentali per cercare di arginare e punire il comportamento moscovita. Tillerson, semmai, si è distinto tra i grandi critici delle ritorsioni, che hanno frenato il business. «Chi le invoca dovrebbe considerare gli effetti collaterali», ha detto durante un'assemblea degli azionisti nel 2014.

Non è dato sapere, se nominato a Foggy Bottom, quale sarà l'atteggiamento di Tillerson, tra raccomandazioni di continuità dall'establishment e pulsioni a svolte: alla lunga esperienza d'affari affianca infatti una totale inesperienza di governo, che ne fa una pagina bianca. Trump in queste ore l’ha definito semplicisticamente, alla rete Tv Fox, come «un protagonista di livello mondiale» e autore di «gigantesche iniziative».

Questa sua caratura dovrà di sicuro fare i conti con un quadro internazionale carico di focolai di tensione - dalla Russia alla Cina e al Medio Oriente - e di tragedie - dal dramma dei migranti al terrorismo e alla guerre - dove alleanze, approcci multilaterali e soluzioni negoziali sostenuti strenuamente dal presidente uscente Barack Obama appaiono tanto più necessari quanto sotto assedio. Con Pechino, Trump è reduce da un inedito screzio su Taiwan parso calcolato ma le cui ripercussioni paiono tuttora incerte. E la sua vocazione al protezionismo commerciale e ad un maggior isolazionismo ha destato ansie.

L'emergere del nome di Tillerson quale chiaro favorito agli Esteri di Trump - secondo alcuni la scelta è ormai fatta - ha così destato immediato nervosismo tra gli stessi ranghi repubblicani per i futuri equilibri delle strategie internazionali statunitensi, in particolare al cospetto dell'aggressività di Putin, facendo balenare il fantasma dell'inesperienza o di una realpolitik troppo compromessa. «Sono un elemento di preoccupazione - ha detto l'influente senatore dell'Arizona, John McCain, riferendosi ai legami con Mosca -. Dovrò esaminarli. Vladimir Putin è un bandito, un bullo e un assassino e chiunque lo descriva come qualcosa d'altro mente».

McCain è stato anche firmatario di una dichiarazione con un altro senatore repubblicano, Lindsey Graham e due democratici, Chuck Schumer e Jack Reed, che chiede di indagare sulla conclusione-shock della Cia secondo cui il Cremlino avrebbe aiutato Trump con operazioni di pirateria informatica durante le elezioni. Un'accusa che il presidente eletto ha definito «ridicola», affermando che l'intelligence americana «non ha idea» di chi siano gli hacker che hanno violato i computer del partito democratico e anche repubblicano nei mesi scorsi.

Trump, scendendo apertamente in campo contro i servizi segreti, ha inaugurato un ulteriore fronte di polemica che potrebbe scuotere la credibilità e stabilità della politica estera: le informazioni di intelligence sono cruciali per le decisioni della Casa Bianca e oggi il futuro presidente ha deciso di ricevere solo un briefing alla settimana dalla agenzie preposte, molto meno dei predecessori.

Il compito di Tillerson sarebbe così in ogni caso monumentale e non è detto che la sua carriera di business lo abbia preparato a simili complessità. Exxon sotto la sua guida ha varato anzitutto numerose esplicite partnership con la russa Rosneft, tra cui una nel Mare di Kara (nell'Oceano Artico) che doveva iniziare a operare nel 2014 ma è rimasta ostacolata dalle sanzioni occudentali contro Mosca, avversate dal Ceo. Exxon soffre anche del blocco delle entrate dallo sfruttamento con una cordata di giacimenti al largo dell'isola di Sakhalin.

Il 64enne Tillerson è alla Exxon ormai da 41 anni, avendo cominciato come ingegnere nella produzione. Ai vertici è arrivato nel 2006 e ha sicuramente mostrato doti di leadership. Su alcune tematiche appare in realtà più progressista e aperto di Trump: con le compagnie energetiche americane tra le più chiuse alla sfida dell'effetto serra, per la prima volta nella storia dell'azienda ha riconosciuto l'esistenza del cambiamento climatico definendo l'effetto serra «una sfida globale da affrontare». Come presidente dei boy scout, che ama citare, ha anche gestito l'apertura dell'organizzazione ai ragazzi gay.

Trump e i suoi più stretti coaboratori hanno incontrato Tillerson per ben due ore già sabato e ne sarebbero usciti con un'opinione estremanente favorevole. Sia il capo della strategia Stephen Bannon che il genero Jared Kushner avrebbero ritenuto l'executive di «un'altra categoria» rispetto ai rivali rimasti in gara, Mitt Romney e il senatore Bob Corker.

Quale vice sono invece in lizza l'ultra conservatore John Bolton e il centrista Richard Haas, che potrebbero influenzare la rotta politica in direzioni diverse. La grande decisione è però quella su Tillerson. Ha soprattutto, come dirigente, una fama di decisionista, apprezzata da Trump ma poco indicata alla costruzione di alleanze e consenso. Exxon, per cultura, è inoltre considerata un'azienda poco disponibile al dialogo e alla trasparenza.

Né il suo riconosciuto acume di business gli ha evitato passi falsi: ha tardato nel riconoscere le opportunità di investimento nei nuovi giacimenti di petrolio e gas shale in Texas, il suo stato di origine e di cui conserva un forte accento, e in North Dakota, preferendo le grandi scommesse più tradizionali. I margini di errore, in politica estera, sono di sicuro più ridotti e le conseguenze molto più drammatiche.

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