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Appello Wto-Fmi: «Aiutare i dimenticati della globalizzazione»

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COMMERCIO INTERNAZIONALE

Appello Wto-Fmi: «Aiutare i dimenticati della globalizzazione»

Fmi, Wto e Banca mondiale scendono apertamente in campo per esortare i Governi a fare di più contro gli squilibri occupazionali generati dal commercio internazionale. È la risposta delle istituzioni simbolo della globalizzazione al sovranismo del presidente statunitense Donald Trump, che, con la sua aggressiva retorica protezionistica, e ora con le navi da guerra Usa in rotta verso la Corea del Nord, rappresenta l’incognita maggiore per l’Asia. L’area che quest’anno dovrebbe generare il 60% della crescita globale, secondo l’outlook 2017 appena pubblicato dall’Asian development bank.

Il rischio Trump
Trascinata dall’India, l’Asia meridionale crescerà a tassi superiori al 7% nel 2017 e 2018. L’altra area in accelerazione è il Sud-est asiatico (in crescita del 4,8 e 5%). L’Asia però è tra le regioni più esposte al “rischio Trump”: su 16 Paesi che l’Amministrazione Usa si prepara a processare per eccesso di surplus commerciale, 9 sono in questo continente. A parte la Cina, con i suoi 347 miliardi di dollari di avanzo, i principali indiziati sono Giappone, Vietnam e Corea del Sud.

Il Vietnam, per esempio, piazza un quinto di tutto il suo export negli Stati Uniti. Secondo Credit Suisse, alzando i propri dazi, Washington potrebbe cancellarne quasi un punto percentuale di Pil di questo Paese, che già paga le decisioni di Trump: come sottolinea Peter Elam Hakansson, presidente di East Capital, il ritiro degli Usa dalla Trans Pacific partnership è un duro colpo per Hanoi, che più degli altri avrebbe benificiato dell’accordo di libero scambio tra i 12 Paesi del Pacifico. Per il Vietnam, come per gli altri Paesi della regione, la chiusura da parte degli Stati Uniti avrà un altro effetto, quello di spingerli verso la Cina e la sua area di libero scambio, la Regional comprehensive economic partnership. Meno di 10 giorni fa, la Thailandia ha scelto Pechino per acquistare 10 nuovi tank con i quali sostituire vecchi modelli statunitensi. Bangkok è undicesima nella classifica dei Paesi in surplus con gli Usa e la sua Banca centrale, la scorsa settimana, si è sentita a costretta a difendere le proprie politiche monetarie: «Non c’è alcuna prova che la Thailandia abbia manipolato la propria moneta».

SOTTO PROCESSO
I Paesi messi all'indice dalla Casa Bianca per il loro surplus commerciale verso gli Stati Uniti, dato 2016, in miliardi di dollari. (Dipartimento del commercio Usa)

In difesa del commercio
Contro le tentazioni mercantilistiche di Trump sono scese in campo ieri le istituzioni che più incarnano la globalizzazione, con argomentazioni da libro di testo di economia internazionale. In un rapporto congiunto, Fmi, Organizzazione mondiale per il commercio (Wto) e Banca mondiale hanno riconosciuto che l’apertura agli scambi internazionali genera crisi occupazionali nei settori meno competitivi. Tocca però ai Governi farsene carico e non già erigendo muri tariffari, ma con politiche economiche e di sostegno adeguate.

La globalizzazione, ricorda il report, ha dato una spinta alla produttività (l’aumento dell’apertura agli scambi dell’1% genera una crescita della produttività dell’1,23%) e ha ridotto dei prezzi al consumo (tagliando di due terzi il costo del paniere di beni tipico della famiglie a basso reddito dei Paesi avanzati). Vantaggi diffusi, ma marginali, per lo più poco o per niente colti dal cittadino medio. I Governi, però, hanno fallito nel compito di aiutare i lavoratori più colpiti dalla competizione globale. Per loro, al contrario, il danno è estremamente rilevante e immediatamente avvertito: «Il commercio sta lasciando indietro troppe persone», riconosce il report. Le regioni a forte vocazione manifatturiera, più esposte alla concorrenza cinese, hanno subito «significativi cali di occupazione e salari, soprattutto tra i lavoratori poco qualificati». Sono gli “americani dimenticati”, su cui fa leva Trump. Molti dei quali, in realtà, il posto l’hanno perso a causa dei progressi tecnologici e dell’automazione della produzione.

Il report Fmi-Wto-World Bank invoca allora politiche che vadano oltre i tradizionali sussidi di disoccupazione, in modo da incentivare il reimpiego di lavoratori che spesso sono più anziani, meno istruiti, e più abituati al posto fisso e che perciò fanno più fatica a ricollocarsi.

Le tre istituzioni, insieme al cancelliere Angela Merkel, all’Ilo e all’Ocse, hanno poi firmato una dichiarazione congiunta a sostegno del libero scambio

Il test cinese
Non dazi, dunque, ma politiche per l’occupazione. Aspettando di vedere quanto gli Usa faranno di quello che Trump annuncia. Dopo aver assicurato che avrebbe dichiarato la Cina un «manipolatore di valuta» già nel day one del suo mandato, dopo averla accusata di rubare «American jobs» e dopo aver minacciato dazi del 45% sul suo export, nel vertice in Florida della settimana scorsa, Trump sembra essersi accontentato di ottenere dal presidente Xi l’impegno ad aprire il mercato finanziario cinese agli investimenti americani e a cancellare il bando sull’import di carne Usa.

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