WASHINGTON - Nel dossier di Paolo Gentiloni a Washington ci saranno il G7 di Taormina di fine maggio e le sfide dell'immigrazione, il rischio protezionismo e il nostro ruolo nelle missioni peacekeeping nel mondo. Ma ci saranno soprattutto il cambiamento politico di Donald Trump e un interesse comune a Italia e Stati Uniti: un rilancio aggressivo dell'economia europea.
Il viaggio del nostro presidente del Consiglio in America non potrebbe capitare in un momento più propizio: nelle ultime settimane Donald Trump ha ribaltato il tavolo della sua politica estera, ha denunciato la Russia di Vladimir Putin e aperto un dialogo con la Cina di Xi Jinping, ha moderato la sua retorica aggressiva, messo da parte l'ideologo populista Stephen Bannon, affermato la continuità di certi interessi americani e recuperato una posizione di leadership più tradizionale degli Stati Uniti d'America.
Gentiloni è il primo leader europeo in arrivo a Washington dopo questa svolta di Trump e toccherà a lui convincere il presidente americano dell'importanza chiave del disegno europeo per gli Stati Uniti, l'unica cosa su cui Trump, nel ribaltare certe sue posizioni, ancora non si è ancora espresso in modo diretto.
Lo ha fatto tuttavia in modo indiretto. La rottura con Putin ha avuto un forte impatto nella politica europea. Ha portato confusione nei movimenti populisti che vedevano nella sintonia Putin Trump fino a un paio di mesi fa una bandiera unitaria per la loro battaglia nazionalista.
Con la fine della luna di miele e anzi con il passaggio di Trump al confronto con Mosca, anche i populisti europei hanno dovuto scegliere. E fra il presidente americano e il leader russo, generalmente hanno scelto Putin.
Per molti - e questo è emerso da sondaggi e da numerosi tweet giunti a chi scrive - “Trump si è arreso davanti all'establishment”. La veritè è che Trump ha capito che gli interessi americani di lungo termine sono allineati con una Unione Europea solida.
Il presidente americano può sorprendere e improvvisare, ma ascolta: ha detto lui stesso che il Presidente Xi gli ha aperto nuove prospettive «sulle complicazioni con il problema nordcoreano». E ha fatto marcia indietro sull'«obsolescenza» della Nato dopo l'incontro con il segretario generale Jens Stoltenberg.
Quando ha messo da parte il populista/nazionalista Stephen Bannon e ha ascoltato i suoi ministri di peso come Jim Mattis alla Difesa, Rex Tillerson agli Esteri e HR McMaster al Consiglio per la Sicurezza Nazionale, profondi conoscitori degli interessi strategici americani, ha capito che un forte indebolimento dell'Europa avrebbe giovato soltanto alla Russia di Vladimir Putin.
E c'è chi dice a Washington che le dichiarazioni sul pericolo russo in vicinanza delle elezioni francesi vogliono essere un avvertimento per gli elettori di centro ammaliati dal candidato della destra populista, Marie le Pen. Le Pen, in sintonia con gli altri populisti europei è pro Putin: è andata in visita a Mosca appena due settimane fa, ha chiesto l'eliminazione delle sanzioni per l'invasione dell'Ucraina e del congelamento di certe attività patrimoniali. Posizioni non dissimili da quella di Trump all'inizio del mandato. Ma oggi le scelte sono piu' definite. Ed è questo il messaggio non secondario: chi fra i centristi moderati preferisce la Russia è «contro» l'America.
È in questo contesto che il compito di Gentiloni appare più agevole. Rispetto alle posizioni oltranziste della prima ora nei confronti dell'Europa Trump è cambiato. Attenzione, alcune delle sue richieste, ad esempio un aumento al 2% del Pil in spese militari per far fronte agli impegni Nato restano, ma non sono da scartare.
Gentiloni dovrebbe esprimere un impegno chiaro per il rispetto degli obblighi Nato e anzi suggerire una accelerazione previa approvazione europea per l'esclusione di queste spese dal computo dei nostri conti pubblici. Queste spese sono investimenti e stimoli per l'economia e dovrebbero essere trattate in modo diverso dall'attuale. Le vie per farlo ci sono e Trump ascolterebbe con grande interesse una proposta italiana che introduca stimoli fiscali.
Ed è proprio sul tema del rilancio dell'economia europea che Gentiloni e Trump dovrebbero trovarsi d'accordo. Se l'Unione Europea resta centrale, l'introduzione di maggiori flessibilità per accogliere politiche fiscali di stimolo, in arrivo soprattutto dalla Germania, ma anche da nuove politiche di bilancio europee e da altre riforme sono essenziali.
Abbiamo appreso ieri dal Fondo Monetario Internazionale che le previsioni di crescita per l'Italia sono per quest'anno e il prossimo per lo 0,8%, un segno positivo, ma al di sotto della media europea dell'1,7%. Continuiamo ad essere penalizzati.
Una crescita europea più forte aiutera' la crescita americana, ma soprattutto continuerà ad allentare le tensioni populiste e nazionaliste in Europa. Su questo terreno i percorsi di Trump e di Gentiloni sono convergenti.
Una presa di posizione chiara, esplicita di Trump sull'importanza di un' Europa Unita, magari riformata, sarebbe una svolta in linea con i cambiamenti politici della sua amministrazione nelle ultime settimane. E lo spazio perché i due possano ascoltarsi reciprocamente c'è di sicuro.
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