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Russia 2017, la parola ai figli di una rivoluzione irrisolta

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1917-2017

Russia 2017, la parola ai figli di una rivoluzione irrisolta

Oggi in Russia è un giorno come tanti. «Spiegatemi, cosa c’è da celebrare?», chiede il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. Nel 2005 la celebrazione della rivoluzione d’Ottobre è stata sfrattata dal 7 al 4 novembre, sostituita con il “Giorno dell’unità nazionale” in memoria della cacciata di polacchi e lituani per mano di Kuzma Minin e Dmitrij Pozharskij, il mercante e il principe che liberarono il Paese molto prima dei bolscevichi, nel novembre 1612.

Sono pochissimi a ricordarselo. Ma Vladimir Putin, più in sintonia con i Romanov che con Lenin, diffida di qualunque accenno di protesta, figurarsi celebrare il termine “rivoluzione”. Il governo attuale ha preso il posto di quello sovietico in modo legale, ma è a disagio sulle proprie origini. Preferisce restare ambiguo e prendere ciò che gli serve della storia dell’Urss - a partire dalla sconfitta del nazismo; tentare una condanna non troppo drastica delle repressioni senza demonizzare Stalin; e andare direttamente a riallacciarsi all’impero zarista. Più della storia contano la stabilità (del regime), l’unità nazionale. «La Russia - dice Putin - non è iniziata nel 1917, né nel 1991. Abbiamo un’unica storia ininterrotta».

Eppure, se il 7 novembre 1917 i bolscevichi si impadronirono del Palazzo d’Inverno a Pietrogrado quasi di soppiatto, i giorni e gli anni successivi stravolsero radicalmente la Russia: la sua società, la guerra, l’economia, l’impero, il rapporto con il mondo. Le conseguenze di tutto questo, ha ammesso Putin, sono «complesse», ma «dovrebbero essere lasciate agli esperti». Così, mentre il Cremlino resta in silenzio, il centenario dell’Ottobre si è moltiplicato in dibattiti, mostre fotografiche, conferenze, rievocazioni.

«La rivoluzione - scrive lo studioso Maksim Trudoljubov - è il certificato di nascita della Russia moderna. Ricordare le origini dello Stato russo sarebbe un atto di onestà». Così abbiamo pensato di lasciare la parola alla gente. Figli della rivoluzione, russi e cittadini delle repubbliche ex sovietiche il cui destino è comunque passato in qualche modo da quel 7 novembre. Abbiamo chiesto loro un ricordo, o una storia, una riflessione. La loro risposta tradisce il desiderio di parlarne: disponibile e appassionata, indica un quadro pieno di contraddizioni, di ombre più che di luci, punti di vista diversi sul significato dell’Ottobre, interrogativi e dubbi. C’è chi è nostalgico e chi scrolla le spalle, davanti a un Paese che, cent’anni dopo, non è ancora riuscito a fare i conti con il proprio passato. Sono voci di una rivoluzione irrisolta.

  • Pavel, 39 anni, manager, Mosca/Parigi:«Non abbiamo ancora imparato a essere liberi»

    La rivoluzione del 1917 per me è un fatto molto lontano e nello stesso tempo costantemente presente nella mia vita. Sono nato nell’Urss, ma gli anni della mia formazione li ho vissuti in un periodo cruciale, la perestrojka: nel 1985 ho iniziato la scuola, e ho lasciato la Russia nel 1997. Ho attraversato il cambiamento di atteggiamento verso quei fatti: dallo status di avvenimento principale nella storia dell’Urss alla definizione di questo periodo come la catastrofe principale della Russia. Per me è uno dei cicli della storia, l’esperimento socialista che al posto della libertà ha condotto a una mancanza di responsabilità verso la popolazione, ancora maggiore che nel secolo XIX, e a una terribile dittatura. Mi sembra che questo periodo non si sia ancora concluso nella Russia contemporanea: non abbiamo ancora imparato a essere liberi, viviamo ancora nel mito della lotta permanente contro tutto il mondo.

    Per la Russia reale la rivoluzione è finora un avvenimento non compreso e non accettato. Posso fare un confronto con la Rivoluzione francese: anche quella è stata un grande sovvertimento per la Francia e l'Europa, e ha provocato numerose vittime. Ma oggi l’atteggiamento nei suoi confronti è più distaccato, perché si è cercato di desacralizzare questo periodo e di stabilire un rapporto oggettivo, smettendo di manipolare le opinioni e i ricordi. È un fatto storico. Il 1917 in Russia non lo è ancora diventato: è ancora troppo soggettivo, troppo personale, troppo vivo.

    Spero che il centenario della Rivoluzione aiuti ad andare oltre. Mi sembra che la continua riscrittura della storia freni lo sviluppo del Paese. Il fatto che la festività del 7 novembre sia stata sostituita con un’altra creata artificialmente - il Giorno dell’unità nazionale - dimostra che si sta cercando di cancellare questa data, espellerla dalle date importanti della storia russa. A me sembra che l’anniversario dovrebbe essere l’occasione per discutere che influenza e che eredità ha lasciato nella società contemporanea. Invece di chiacchierare sul destino del mausoleo di Lenin. Mi sembra che le autorità non desiderino, anzi temano di ricordare questi fatti, come se lo spettro della rivoluzione incombesse sulla Russia di oggi. Ma perché il fantasma scompaia per sempre, a mio parere è necessario arrivare a una concretizzazione del processo storico che ha condotto agli avvenimenti dell’Ottobre 1917, e a quelli che seguirono.

  • Alsù, 50 anni, insegnante, Mosca:«Per noi una ferita per tre generazioni»

    Mia nonna ai tempi della rivoluzione stava a Kazan: dopo l’esproprio dei bolscevichi fu privata del suo piccolo negozietto e rimase senza mezzi. All’inizio degli anni 20 nel bacino del Volga scoppiò la fame, lei la soffrì appieno. Nello stesso periodo il nonno di mio marito, invece, in Lettonia andava a cavallo per i boschi inseguendo i “nemici della rivoluzione” durante la guerra civile. Quindi la rivoluzione ha lasciato una ferita in tre generazioni della mia famiglia. Non posso fare a meno di vederla come una tragedia che divise il popolo.

  • Marianna, studentessa, Pietroburgo/Roma:«L’avvenimento più contradditorio del XX secolo»

    È improbabile che nella storia del XX secolo sia avvenuto qualcosa di più contraddittorio e fatale della rivoluzione d’Ottobre. È stata un avvenimento che ha innescato un meccanismo di guerra civile, totalitarismo e repressione, oppure la liberazione di un popolo oppresso? È curioso che l’anniversario quasi non venga celebrato, mentre gli studiosi spesso confondono i nomi e le date, e la contraddittorietà delle valutazioni dei fatti storici non li aiuta a formulare una propria opinione. Oggi, cent’anni dopo, è più importante che mai conoscere e studiare la storia della rivoluzione sulla base delle testimonianze e dei documenti dell’epoca, e non delle tortuose interpretazioni di questo o quello.

  • Oleg, 44 anni, avvocato, Mosca: 
    «L’anno in cui la Russia ha trovato una voce»

    La rivoluzione d’Ottobre è stata il risultato della reazione della società ai processi in corso in Russia. Parte della società non era soddisfatta né della propria condizione, né del ruolo ricoperto nella gerarchia sociale. Rimasta sostanzialmente silenziosa fino al 1905, dimostrò quella che ora viene definita una posizione civica. Prima di allora, mai nella storia della Russia le grandi masse della popolazione si erano attivate su un piano nazionale, né avevano espresso il proprio malcontento (non si può tenere conto di manifestazioni locali del tipo della rivolta di Pugaciov). Da questo punto di vista, la rivoluzione d’Ottobre è stata e resta un caso unico. Una pietra miliare per ricordare a tutti che la Russia non sarebbe più stata un Paese abitato da persone senza voce.

    Io separo in modo netto la rivoluzione d’Ottobre dai fatti che l’hanno seguita:e se il terrore rivoluzionario si colloca in qualche modo in una logica di lotta per i diritti di una determinata classe, i fatti iniziati negli anni 30 e il terrore che li ha accompagnati a mio giudizio sono manifestazioni di un ordine reazionario, di un ritorno a un potere centralizzato (in piena contraddizione con quello a cui chiamava la rivoluzione con uno slogan come “tutto il potere ai Soviet!”) e della soppressione del pluralismo delle opinioni. In nessun caso è lecito confondere con la rivoluzione d’Ottobre questi fatti negativi che le sono seguiti.

    E tuttavia, con mio profondo dispiacere il potere attuale fa di tutto per mettere sullo stesso piano la rivoluzione e i fatti successivi, in realtà controrivoluzionari.Sono lontano dall’idealizzare l’Ottobre, sanguinoso quanto la rivoluzione francese. Ma non posso non notare che in Francia ricordano la loro rivoluzione e le danno il dovuto, mentre la nostra in Russia viene demonizzata. È possibile che questa semplificazione dello scenario, in cui si dimenticano le conquiste della rivoluzione (basti ricordare che la Russia ha introdotto, primo Paese al mondo, il suffragio universale, ponendo uomini e donne sullo stesso piano) abbia lo scopo di proteggere la Russia da ulteriori “scossoni alla barca”, per non dire di più.

    Sulla Piazza Rossa, le prove di una parata militare

    Da qui la soppressione della festa del 7 novembre. Ma anche il trasferimento a un’altra festività, il 4 novembre, non ha cancellato dalla memoria della gente il novembre come mese di celebrazione proprio della rivoluzione d’Ottobre. Per questo il 4 novembre, ribattezzato Giorno dell’unità nazionale, io non ho ricordato tanto Minin e Pozharskij, che liberarono Mosca dai polacchi (quei due li noto già ogni volta che passo davanti al loro monumento sulla piazza Rossa), ma piuttosto una fase unica nella storia della Russia. Non c’erano champagne e buffet, ma vi assicuro che nel weekend, con gli amici, ho parlato proprio di politica.

  • Pavel, 15 anni, studente, Mosca:«Lenin? Un nome troppo lontano»

    Rivoluzione d’Ottobre? Mai sentito parlare. Un mio amico dice che ogni rivoluzione è abbattimento del potere. Il nome di Lenin? Non mi è nuovo, ma è troppo lontano e legato a qualcosa che è successo troppo tempo fa.

  • Nikolaj, 39 anni, ingegnere, San Pietroburgo:«Non furono i bolscevichi a rovesciare lo zar»

    Nella Russia di oggi la rivoluzione d’Ottobre è uno degli avvenimenti meno studiati. In epoca sovietica venne offuscata dalla Grande guerra patriottica, mentre ora il partito al potere è di fatto in opposizione al bolscevismo. Per questo non ci sono studi obiettivi di quegli anni, e per questo nella coscienza popolare spunta una gran quantità di miti falsi sulla rivoluzione, accettati in Occidente. Per esempio: nel 1917 le rivoluzioni furono due. In febbraio il sistema di governo passò dalla monarchia alla repubblica parlamentare, sul modello di altre rivoluzioni in Europa. E solo in ottobre il partito bolscevico ha preso il potere. Ma ha dovuto difenderlo con le armi. Quindi non sono stati i bolscevichi a rovesciare lo zar. Inoltre, non solo avevano la supremazia militare, ma anche politica.

  • Mark, 55 anni, interprete e politologo, Mosca:«Smettiamo di riscrivere la storia»

    Della cancellazione della festività del 7 novembre, sostituita con la Giornata dell’unità nazionale del 4 penso tutto il male possibile. Mi spiego. Quando ero ragazzo, in Italia, a scuola il 4 novembre era festivo. Era la vittoria italiana nella Grande guerra (così si chiamava la Prima, quando ancora non c’era bisogno di numerarle). Ed erano ancora vivi taluni combattenti di quella guerra, da cui ora ci separa un secolo. Pian piano sono andati via, e il 4 novembre ha smesso di essere festivo.

    Il fatto è che, che siano ricorrenze laiche o religiose, ci sono dei periodi in cui l’uomo ha bisogno di “staccare”, in tutte le culture: agli inizi di novembre possono essere i morti, i santi o la rivoluzione d’Ottobre; se Natale si fa a dicembre bene, ma se, per il calendario giuliano, coincide con la Befana di quello gregoriano, va bene lo stesso; a febbraio può essere carnevale o le forze armate russe (e ancor prima sovietiche, fin dal 1918); l’8 marzo, per fortuna, in Russia è ancora tale; e ad aprile-maggio possono essere le due Pasque (cattolica e ortodossa), ma anche la Liberazione italiana del 25 aprile, la festa del lavoro il 1° maggio (ridicolo trasformarla in “festa della primavera”, spero di non dover ricordare i tragici avvenimenti a seguito dei quali questa ricorrenza fu istituita) e la vittoria sovietica nella Grande guerra patriottica (la Seconda guerra mondiale), senza la quale, per dirla con Mario Monicelli, oggi parleremmo tutti tedesco; la festa della Repubblica in Italia il 2 giugno, ma della Costituzione in Russia il 12 giugno.

    “Senza la rivoluzione d’Ottobre probabilmente non avremmo avuto il voto alle donne, e soprattutto negli anni 40 sarebbe andata ben (mal) diversamente”

    Ecco, torniamo al 4 novembre: Giorno dell’unità in Russia, ma in realtà è la cacciata degli invasori polacchi e lituani nel... 1612. Mi pare un po’ tirata per i capelli. La Storia (con la “esse” maiuscola) non conosce “se” e “ma”, eppure senza la rivoluzione d’Ottobre probabilmente non avremmo il voto alle donne e soprattutto negli anni 40 sarebbe andata ben (mal) diversamente. In ultima analisi, in tutto il mondo, bisognerebbe smetterla di riscrivere periodicamente la storia a seconda della contingenza e delle convenienze del potentato di turno.

  • Viktoria, 61 anni, fotogiornalista, Mosca:
    «Basta sangue in Russia»

    Ritengo che la rivoluzione d’Ottobre sia stata l’avvenimento più tragico in tutta la storia della Russia. E anche per il destino di altri popoli. Tutto quello che l’Unione Sovietica ha raggiunto con crudeltà, maltrattamenti, umiliazioni del suo stesso popolo, lavoro di schiavi, gli altri Paesi l’hanno ottenuto attraverso un libero sviluppo che nell’Urss non era possibile. Lenin era un essere mostruoso, che ha dimostrato cosa può succedere quando il fine giustifica i mezzi. Stalin ha solo sviluppato questo insegnamento e questa direzione, portandoli a un assurdo sanguinoso. Purtroppo, la Russia non ha imparato dai propri errori: il “fine che giustifica i mezzi” continua anche oggi a essere una dottrina centrale. Per me la lezione principale della rivoluzione è che in Russia non è più lecito ottenere qualcosa con il sangue: viviamo nel sangue già da cento anni, dobbiamo lavarlo via. E non aggiungerne di nuovo.

    San Pietroburgo, 6 novembre 2017: la polizia arresta un gruppo di partecipanti a un “rally rivoluzionario” - non autorizzato - per celebrare il centenario della rivoluzione bolscevica

  • Leonid, 59 anni, traduttore, interprete e insegnante, Mosca: «Un disastro totale»

    Penso che la rivoluzione sia stata un disastro totale per la Russia, e che non abbia dato al Paese niente di positivo, solo disgrazie e guai. È evidente che qualcosa andava cambiato nella vita sociale e politica, ma non in maniera così radicale e violenta, che comportò la distruzione di ogni istituto democratico e la rimozione di tutti i partiti politici, tranne quello bolscevico. Il famigerato “terrore rosso” tolse la vita a moltissime persone colpevoli solo di non essere d’accordo con il nuovo potere o, peggio ancora, di appartenere a uno strato sociale “sbagliato”, come sacerdoti, nobili e contadini più o meno benestanti.

    L’assassinio della famiglia dello zar è stato un delitto tremendo. Che cosa, allora, fece sì che la rivoluzione riuscisse a spazzare via ogni resistenza, compreso il “movimento bianco” durante la Guerra civile, che cosa permise al nuovo potere di non perdere il dominio del Paese? Non sono domande facili, tanti studiosi e intellettuali eminenti provarono a rispondere... Secondo me, la vittoria dei bolscevichi è dovuta ad alcuni fattori: agli slogan semplici ed efficienti (mai realizzati), come “la terra ai contadini, le fabbriche agli operai”; all’intimidazione costante e feroce della popolazione, alla disunione fra le forze in opposizione al regime, alle illusioni di alcuni intellettuali, secondo cui il nuovo potere era in grado di consolidare e rafforzare il Paese.

    Dei tempi sovietici ricordo che il 7 novembre è sempre stata una grande festa, qualcuno partecipava alla sfilata che attraversava la Piazza Rossa (come mio padre), ci si divertiva tanto, gli amici si riunivano, si bevevano vini georgiani, cognac armeni e vodka, si mangiavano varie prelibatezze, procurate in maniera non sempre corrispondente alla morale comunista...Oggi invece non mi sono accorto di alcuna forma di celebrazione dell’anniversario, proposta dal governo. Ma io non guardo la tv quasi mai.

  • Elena, 47 anni, Pietroburgo/Milano:«L’orgoglio di venire da Leningrado»

    Sono nata a Leningrado, la città che oggi porta il nome di San Pietroburgo. Fino a quasi 20 anni ho praticato il tennis a livello agonistico. Ho viaggiato tanto e ho visitato, grazie ai fondi che arrivavano dallo Stato per i bambini, tutte le ex-repubbliche sovietiche, oggi Stati indipendenti. Mi ricordo che la parola “Leningrado” suonava come qualcosa di mistico e magico per le persone che incontravo in ogni angolo dell’allora Unione Sovietica. Percepivo ovunque una simpatia particolare per noi. La mia città nativa è stata la più amata nell’Urss per la sua storia singolare e tragica, la resistenza triennale all’assedio disumano dei nazisti, la bellezza imperiale, i musei e i teatri. E per la gente, naturalmente, che abitava a Leningrado! I miei genitori sono ingegneri, hanno lavorato tanto per tirare su la nostra famiglia.

    Lo Stato sovietico offriva parecchio a livello sociale, e certe cose di una volta non le vedi proprio nella Russia moderna, come, ad esempio, corsi gratuiti di sport, musica, teatro. La vita nell’Urss è stata bella per molti motivi, ma anche difficile e travagliata per i nostri genitori e nonni. Grazie alla mia famiglia, io e mia sorella siamo cresciute in un ambiente sano e pieno di amore, siamo cresciute in una città unica e fantastica, piena di vita e di cose belle. Ma mi rendo conto che per tante, tantissime persone non è stato cosi. Ecco perché non si arriverà mai a un giudizio unico ed universale sulla vita nell’Unione Sovietica che, bisogna ricordarlo per capire meglio la nostra storia, aveva quasi 250 milioni di abitanti.

    Ermitage, 100 anni dell'Ottobre rosso: la Rivoluzione iniziò qui

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