Con una cerimonia molto coreografica, è stato dato il via oggi alle più imponenti Olimpiadi Invernali della storia: fino al 25 febbraio il mondo può rilassarsi a seguire il grande evento sportivo che coinvolge circa 2.500 atleti di 90 Paesi in competizione per 102 medaglie in sette sport e 15 discipline. E può guardare con speranza e fiducia i segnali di riavvicinamento intercoreano, salutati con parole calorose dal presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach, riferendosi alla sfilata congiunta degli atleti di Nord e Sud sotto la bandiera della riunificazione. Ma non va dimenticato che la primavera potrebbe portare a un riacuirsi delle tensioni politiche e a una ripresa di prospettive conflittuali nella penisola: è questo il messaggio che molti analisti stanno veicolando in questi giorni di “tregua olimpica”, non escludendo che si possa trattare della classica quiete prima di nuove tempeste.
Nordcoreani alla Blue House. Oltre la simbologia della bandiera unificata, al di là degli eventi sportivi e di contorno che coinvolgono majorettes, artisti e sportivi nordcoreani in territorio del Sud, ha fatto una grande impressione l'arrivo di una delegazione nordcoreana di alto livello a PyeongChang, con Kim Yo Jong – sorella minore del leader nordcoreano Kim Jong Un - e del capo di Stato formale Kim Yong Nam. Ancora più significativo il fatto che sabato la delegazione nordcoreana sia attesa alla Blue House, il palazzo presidenziale di Seul.
Pensare che ad avvicinarsi alla Blue House, il 21 gennaio 1968, fu un commando di incursori norcoreani nel tentativo di assassinare
l‘allora presidente Park Chung-hee (padre di Park Geun-hye, che ha preceduto Moon Jae-in come capo dello Stato prima di finire in disgrazia). C’è anche una grande differenza rispetto alle Olimpiadi estive di Seul
del 1988: allora i nordcoreani non solo non parteciparono, ma cercarono di rovinare i Giochi abbattendo con una bomba un aereo
civile sudcoreano alcuni mesi prima dell'evento. Per fortuna l'atmosfera di oggi e' ben diversa. Almeno alle Olimpiadi. Poi,
chissà.
Pence e Abe per la linea dura. Il vicepresidente Usa Mike Pence ha evitato contatti con i nordcoreani, mentre il premier giapponese Shinzo Abe ha stretto
la mano a Kim Yong Nam. Entrambi, secondo le indiscrezioni, hanno raccomandato al presidente Moon Jae-in di non deflettere
dalla linea comune di “massimizzazione” delle pressioni sanzionatorie su Pyongyang. Da Tokyo, questa settimana Pence aveva
annunciato che gli Usa introdurranno presto nuove sanzioni unilaterali – le più pesanti possibili – per cercare di far desistere
il regime di Kim Jong Un dal programma missilistico e nucleare.
Parata militare a Pyongyang. Il leader nordcoreano ha già risposto con una grande parata militare a Pyongyang (con numeri stimati in 13mila militari e
50mila spettatori) in cui sono sfilati – alla vigilia dell'apertura dei Giochi - almeno 4 lanciatori mobili di missili intercontinentali
Hwasong-15, testati per la prima volta nel novembre scorso e potenzialmente in grado di colpire l'intero territorio continentale
statunitense. Non è stato solo un modo per celebrare i 70 anni dalla fondazione dell'esercito: è parsa una nuova conferma
che sia da escludere che Kim accetti di sedersi a un tavolo negoziale accettando la pregiudiziale di discutere lo smantellamento
del suo sofisticato arsenale, che lui considera non solo una questione di status, ma il mezzo essenziale per scoraggiare un
attacco militare americano ed evitare quindi di finire come Gheddafi o Saddam Hussein.
Linea rossa? Intanto l'intelligence Usa ritiene che la finestra temporale si stia chiudendo su una sorta di “linea rossa”: tra pochi mesi
il regime nordcoreano potrebbe aver acquisito la capacità di colpire gli Usa attraverso missili balistici dotati di testate
atomiche. Dopo le reciproche minacce di guerra atomica tra Trump e Kim nei mesi scorsi, l'Amministrazione Usa ha sempre enfatizzato
di non escludere l'opzione di un attacco militare “preventivo”, ribadendo di non poter accettare una Corea del Nord nuclearizzata
in grado di colpire il suo territorio. Nelle ultime settimane il concetto è stato ribadito in modo informale o tramite fughe
di notizie da vari consiglieri americani – interni ed esterni all'Amministrazione – mentre il Pentagono ha fatto filtrare
che sta precisando l'idea di un attacco limitato e chirurgico (il “bloody nose”) che nelle intenzioni dovrebbe intaccare in
modo decisivo le capacità belliche nordcoreane senza portare a ritorsioni con armi di distruzione di massa (nè a un più vasto
conflitto regionale che potrebbe coinvolgere la Cina).
I rischi dell’opzione militare. Una ipotesi ritenuta irrealistica dallo stesso Victor Cha, candidato a coprire il ruolo di ambasciatore Usa in Corea del Sud che è poi stato scartato (la posizione resta incredibilmente vacante da più di un anno! Altro segnale preoccupante…). Cha era una volta considerato un fautore della linea dura verso Pyongyang, ma dopo il naufragio della sua “nomination” da parte dell'Amministrazione Trump è uscito allo scoperto con un articolo ammonitore: a suo parere, un attacco anche limitato porterebbe a una guerra devastante che potrebbe uccidere decine se non centinaia di migliaia di americani (residenti in Asia orientale), oltre a milioni tra coreani e giapponesi; inoltre il programma nucleare-missilistico nordcoreano sarebbe solo ritardato, mentre la proliferazione atomica sarebbe incentivata altrove. Il bello – anzi il bruttissimo – è che il rischio di un numero enorme di vittime non è sostanzialmente contestato. Lo stesso Segretario alla Difesa Jim Mattis ha dichiarato la scorsa estate che una guerra con la Corea del Nord avrebbe conseguenze «catastrofiche». Ma lo stesso Trump sembra tirare diritto: anche nel discorso sulla Stato dell'Unione ha cercato di pubblicizzare l'idea di una opzione militare, in termini che hanno fatto ricordare i tempi in cui George W. Bush cercava di costruire il “caso” contro Saddam Hussein evocando l'inaccettabile pericolo delle armi di distruzione di massa del dittatore iracheno. Lo stesso ex segretario di Stato Henry Kissinger ha parlato di «argomento forte e razionale» per un attacco preventivo. Data la posta in gioco, le pressioni contrarie a cui la Casa Bianca è sottoposta appaiono sorprendentemente deboli, anche da parte dell'opinione pubblica e del Congresso. Persino molti americani “pacifisti” sembrano accettare l'argomentazione dell'inaccettabilità di una Corea del Nord nuclearizzata e paiono favorevoli in sostanza a rinviare il più possibile l’opzione militare senza escluderla se tutte le soluzioni per via diplomatica dovessero naufragare.
Manovre in aprile? Al dunque, il primo test di primavera (i Giochi Paralimpici finiranno il 18 marzo) sarà la questione delle manovre militari
congiunte tra forze armate sudcoreane e americane (sempre ritenute dal Nord come prove di invasione ). Rinviate per la tregua
olimpica. Ma che gli Usa sembrano intenzionati a svolgere in grande ad aprile, mentre il presidente Moon intenderebbe quantomeno
de-enfatizzarle per non annullare troppo presto l'effetto distensivo dei Giochi.
L’ipotesi di un summit. Resta da vedere se saranno confermate le indiscrezioni secondo cui i nordcoreani potrebbero suggerire l’idea di un summit tra Kim e Moon, magari per il prossimo 15 agosto, la data celebrata in tutta la penisola in ricordo della liberazione (nel 1945) dal giogo giapponese. Le voci indicano la possibilità che la sorella di Kim faccia l’invito per quello che sarebbe il primo vertice intercoreano in 11 anni. E che, secondo parecchi osservatori, rischierebbe di causare tensioni tra Seul e il duo della linea dura Washington\Tokyo.
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