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Cina, nuova era alla Banca centrale. Le sfide per il prossimo…

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dopo i 15 anni di Zhou Xiaochuan

Cina, nuova era alla Banca centrale. Le sfide per il prossimo governatore

Zhou XiaoChuan, per 15 anni alla guida della Banca centrale cinese
Zhou XiaoChuan, per 15 anni alla guida della Banca centrale cinese

Tre lustri di prudente (e astuta) politica monetaria con il marchio del governatore Zhou Xiaochuan peseranno non poco sulle spalle del suo successore alla guida della Banca centrale cinese. Il nome sarà rivelato domani. Zhou ha dominato la scena cinese facendo da collante tra la generazione di Jiang Zemin e Hu Jintao, traghettando il core leader Xi Jinping nei primi, durissimi, cinque anni di una leadership destinata, a questo punto, a durare ben oltre il tempo di due mandati (il secondo gli è stato confermato ieri dal Congresso all’unanimità). Zhou Xiachuan ha portato a termine una missione impossibile, quella di allenare la Cina a navigare nel mare aperto della competizione finanziaria globale. Ha dato la spinta, tuffarsi toccherà ad altri.

La carriera di Zhou
Un asset talmente importante, Zhou Xiaochuan, che Xi gli ha chiesto ripetutamente con forza di resistere fino ai suoi settanta anni, in barba proprio a quei limiti di età utilizzati, in altri casi, per rimpiazzare pedine poco gradite. Nato nel 1948 a Yixing, il centro della provincia dello Jangsu famoso per la manifattura di preziose teiere in terracotta, Zhou vanta il cursus honorum tipico di quelli dei suoi tempi: purghe e riabilitazioni, ripescaggi e reprimende, poi la guida dei due istituti di credito più importanti, Bank of China e China Construction Bank, a farsi le ossa in vista del salto di qualità. La Cina, nel 2001, era un nulla sul versante finanziario, quando la Borsa di Shanghai fu colpita e affondata da una drastica riduzione dei tassi dei bond pubblici.

Un liberista per la Pboc
Zhou prese il timone della Banca centrale qualche mese dopo, a fine 2002, prendendo decisioni che avrebbero segnato fortemente l’evoluzione della politica cinese. Da liberista convinto, si è battuto per la liberalizzazione dell’economia cinese, il suo sogno è sempre stato quello di sfidare lo strapotere dell’America. Tutto ciò nonostante la zavorra dell’economia dirigista dei tassi fissati non dal mercato, ma dalla Banca centrale (cioè, da lui) con un grado di oscillazione incrementato solo più di recente e, soprattutto, della non convertibilità dello yuan. Nel 2005 fu l’artefice della mossa che associò lo yuan alle fluttuazioni di un paniere di divise internazionali, inclusi yen ed euro. Il che innescò due anni di yuan rampante al 20%, fino al maggio 2007 quando, alle prime avvisaglie della crisi globale, Xiaochuan decise di frenare la rivalutazione e riagganciò il renminbi al valore del dollaro.

Lo yuan valuta globale
Impegnato a scalzare il ruolo del dollaro come moneta di riferimento, Zhou è stato il fautore dell’ingresso dello yuan nel circolo nobile delle monete del Fondo monetario. Ma anche l’artefice del massiccio programma di investimento in titoli pubblici statunitensi di cui la Cina è diventata la prima detentrice al mondo, con un impatto inevitabile sul disavanzo statunitense e le esportazioni cinesi.

Con una decisione che sorprese il mondo, il 25 settembre del 2012 la Cina varò un maxiprogramma da 46 miliardi di dollari di liquidità nel sistema (il programma Repo, sintesi di repurchase agreement), un atto senza precedenti nella storia del Paese con cui la Cina puntava a stimolare la domanda aggregata interna. Del resto, aveva preso le distanze, a partire dal 2008, da chi predicava morigeratezza, inaugurando una prassi espansiva. Da allora le operazioni Repo sono diventate una sorta di consuetudine per sostenere i mercati cinesi.

La Cina ha dovuto poi fare i conti con gli aspetti più deleteri di questa politica, le opere non centrate, ad esempio, o il buco dei conti degli enti locali e l’incremento del debito pubblico più la corruzione innescata da un fiume di denaro senza precedenti. Tra le reprimende americane alla Cina quella di pilotare lo yuan per favorire l’export e le speculazioni sullo spread tra yuan offshore e onshore al rialzo.

Sotto Zhou, in ogni caso, la borsa è cresciuta, fino ad affrontare un altro snodo complicato, la crisi terribile delle borse dell’agosto del 2015, quando Zhou si incaponì nella svalutazione dello yuan più pesante della sua carriera in un momento terribile. Perché? Si disse, perché mosso dalla smania di ottenere il via libera del Fondo monetario per l’inserimento dello yuan nel paniere delle valute per il calcolo dei Diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale.

I nodi da sciogliere
Quel crollo delle Borse cinesi ebbe un effetto a catena sulle altre piazze mondiali creando un buco di 5mila miliardi di dollari, mai più ripianato, legato soprattutto alla fragilità del sistema finanziario, all’opacità anche dei meccanismi. Zhou ha introdotto il Fondo di garanzia per le banche. Ha colpito duramente a partire dal 2017 la fuga di denaro all’estero. Negli ultimi tempi ha sostenuto il develeraging necessario per riportare in ordine i conti dell’industria anche privata e mettere a freno il Go Global irrazionale. Lascia la Banca centrale con un presidente al comando, Xi Jinping, al massimo del suo potere, che di lui, a questo punto, non ha più bisogno
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Tantissimi però i problemi ancora da risolvere. C’è una moneta che, secondo i piani quinquennali, dovrebbe essere convertibile a partire dal 2020. L’ultimo riordino burocratico all’esame della Plenaria cinese, qualche giorno, fa ha portato alla creazione della Cabina di regia fortemente voluta da Zhou, di tutte le autorità economiche da quella sulla borsa alle assicurazioni, in conflitto permanente. Lo standing internazionale, il riconoscimento a Davos, il rispetto in Patria di cui ha goduto Zhou saranno cose difficili da reintegrare.

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