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il voto in ungheria

La ricetta economica di Orban garanzia di consenso, ma l’Ungheria perde terreno

BUDAPEST - Per tutta la campagna elettorale Viktor Orban ha attaccato i migranti islamici, le istituzioni di Bruxelles e il miliardario George Soros, inventando nemici e alimentando la paura. Ma è con la sua politica economica fuori dagli schemi che il premier ungherese ha, se non altro, ridato stabilità all’economia. Ed è con gli aiuti alle famiglie - pensioni, sussidi per chi fa figli, sconti nelle bollette di luce e gas - che il leader populista ha consolidato il consenso.

I vantaggi della ricetta economica di Orban...
L’Orbanomics funziona, di certo per mantenere il potere, e altrettanto sicuramente per spingere la crescita nel breve periodo: Orban con il Fidesz, il partito da lui fondato, si appresta a governare per il terzo mandato consecutivo, solo un miracolo nelle elezioni di oggi potrebbe sbarrargli la strada, mentre l’economia corre, anche sfruttando i finanziamenti comunitari. «Il Pil è cresciuto del 4,2% nel 2017, il doppio rispetto al 2,1% del 2016. E nel 2018 l’espansione sarà del 4,1%», dice Vanda Szendrei, economista di Oxford Economics.

L’Ungheria è nei fatti uno dei Paesi dell’Europa centro-orientale che attraggono più investimenti diretti, con uno stock superiore agli 80 miliardi di euro. «Le imprese straniere, soprattutto quelle tedesche, austriache, americane e anche molte italiane - afferma l’ambasciatore italiano a Budapest, Massimo Rustico - scelgono di investire in Ungheria guardando al costo del lavoro, alla qualità della manodopera, alla posizione geografica e alle prospettive di sviluppo dei mercati dell’area. Orban guarda ai suoi interessi ma sostiene il business». Il nazionalismo viene messo da parte quando si tratta di accogliere risorse fresche o di rafforzare gli scambi commerciali: «Il destino dell’Ungheria è nell’apertura internazionale, le esportazioni - continua l’ambasciatore - nel 2017 sono cresciute dell’8,5% e hanno superato i 100 miliardi di euro, il 90% del Pil. E l’Italia, con un interscambio di 9,5 miliardi di euro, è il quarto partner commerciale di Budapest».

Nell’automotive e in altri settori ad alta intensità di lavoro, l’industria ungherese è totalmente integrata con quella dei Paesi occidentali, anzi, è agganciata alle sorti dell’Eurozona. E anche su questi legami Orban gioca la sua partita europea, ben sapendo che la Germania non può fare a meno dei i quattro di Visegrad, per quanto euroscettici.

...e il suo lato oscuro
Ma l’Orbanomics ha anche un lato meno evidente e allarmante. Oltre a non essere ancora riuscita a intaccare il divario di sviluppo con la Germania e l’Occidente, la strategia economica di Orban non è nemmeno servita all’Ungheria per tenere il passo degli altri Paesi dell’Europa centro-orientale: durante il regno del Fidesz a partire dal 2010 il reddito pro capite ungherese è passato da 13mila a 14.700 dollari ma è stato superato da quello polacco, si è distanziato da quello della Repubblica Ceca e ha recuperato pochissimo dal dato tedesco che resta più di tre volte superiore. In altre parole, senza la fanfara della propaganda di Orban, altri Paesi dell’area hanno sperimentato percorsi di sviluppo almeno altrettanto efficaci.

Sono in molti inoltre a temere che - anche lasciando da parte, se possibile, l’attacco alla democrazia e ai principi fondanti del progetto europeo - la retorica nazionalista di Orban, la violenza contro gli avversari e le stesse battaglie contro Bruxelles, siano strumentali, abbiano l’obiettivo di coprire i problemi profondi della struttura economica e sociale del Paese, destinati a scoppiare nei prossimi anni. «Il governo non dice nulla delle scuole, degli ospedali, dei giovani che fuggono dall’Ungheria per cercare un futuro. Usa i migranti per spaventare la gente, sono degli irresponsabili», dice Ferenc Gyurcsany, capo dell’alleanza democratica e premier fino al 2009.

Orban, leader tanto capace quanto scaltro, si muove sempre su due piani. Ha incentivato gli investimenti stranieri con una tassazione del 9% del reddito delle imprese, la più bassa in Europa. Ma ha anche stretto le mani su settori chiave come le utilities, l’energia, le costruzioni e le banche che sono sotto il controllo dello Stato per almeno il 50 per cento. Continua ad attaccare la Ue invocando «l’Europa delle patrie» ma sa bene che quella ungherese è nell’Unione

l’economia che, in rapporto alla dimensione, ha beneficiato maggiormente dei fondi comunitari: 34,3 miliardi di euro tra il 2014 e il 2020, pari a quasi cinque miliardi all’anno e quindi a circa il 4% del Pil. Tutte risorse utilizzate fino in fondo, quasi sempre da imprese locali: «Impossibile inserirsi negli appalti per le infrastrutture in Ungheria, se va bene si aspettano le briciole», spiega un dirigente di un grande gruppo tedesco di costruzioni.

Il gap sociale
L’Orbanomics non sembra avere risolto nemmeno i problemi sociali del Paese. La flat tax del 15% sui redditi delle persone è per la Commissione di Bruxelles «uno dei più gravi motivi dell’aumento delle disuguaglianze nella Ue». Il governo ha favorito le classi medio-alte, lasciando indietro un’ampia fascia della popolazione. Non i disoccupati che quasi non esistono, ma i sotto-occupati, i lavoratori socialmente utili che guadagnano 300 euro netti al mese, nemmeno la metà dello stipendio medio ungherese. Anche per questo, dal 2010 oltre 500mila ungheresi sono emigrati in Occidente e si stima siano almeno altri 200mila i giovani under 30 pronti ad andarsene: la parte più vitale della forza lavoro in un Paese di 10 milioni di abitanti.

«I recenti scandali di corruzione anche collegati all’utilizzo dei fondi Ue - spiega Vanda Szendrei - faranno calare la fiducia interna e la credibilità esterna di Budapest. Mentre la contrapposizione con Bruxelles, soprattutto sulla gestione dei flussi di migranti, potrebbe portare all’isolamento all’interno della Ue, con conseguenze sul nuovo budget comunitario e quindi sui finanziamenti Ue dopo il 2020».

«In questo voto si decide il destino dell’Ungheria per molti anni a venire», ha detto Orban nell’ultimo appello ai suoi sostenitori. Le opposizioni, dai razzisti dello Jobbik ai partiti di sinistra, hanno tentato nelle ultime ore un accordo di desistenza con la flebile speranza di contenere lo strapotere del Fidesz. Una manciata di seggi può fare la differenza nel Parlamento di Budapest. E anche in Europa, rilanciando il nazionalismo di Orban, o costringendolo a maggiore moderazione.

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