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Merkel in Cina, Macron da Putin: doppia missione su dazi e Iran

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Merkel in Cina, Macron da Putin: doppia missione su dazi e Iran

Missione “congiunta” per Emmanuel Macron e Angela Merkel. Il presidente francese parte oggi per San Pietroburgo, il cancelliere tedesco per Pechino: sui due viaggi pesa l’ombra dell’unilateralismo di Washington e delle tensioni con la Casa Bianca, dove entrambi i leader sono stati nelle scorse settimane, senza fortuna. Al centro dei colloqui tra Macron e Putin, la volontà comune di salvare l'accordo sul nucleare iraniano; Merkel va in Cina per difendere il multilateralismo commerciale. Non saranno missioni semplici.

Dalla reggia di Versailles al palazzo di Costantino
Escludendo le giurisdizioni offshore, dal 2014 a oggi è stata la Francia il primo investitore straniero in Russia (con Auchan a guidare la “top ten” degli ultimi tre anni). E il primo datore di lavoro, con 1.200 imprese. Nessuna delle quali, sottolineava nei giorni scorsi in un’intervista a Ria Novosti Pavel Shinsky, responsabile della Camera di commercio franco-russa, «in questi quattro anni ha lasciato il Paese». La data è importante, perché il 2014 è l’anno che segna l’inizio dell’era delle sanzioni.

A San Pietroburgo, dunque, in teoria Emmanuel Macron oggi arriva con le carte in regola: il presidente francese è l’ospite d’onore di quest’anno al Forum economico internazionale, ed è sul fronte economico che lui e Vladimir Putin, d’improvviso, hanno in agenda diversi punti di contatto. La decisione di Donald Trump di abbandonare l’accordo sul nucleare iraniano ha riavvicinato Russia e Unione Europea, determinate a mantenere in vita le intese con Teheran e a proteggere le rispettive imprese dalla minaccia di sanzioni americane. A Putin il presidente francese chiederà di persuadere gli iraniani a mettere in discussione i piani missilistici e la crescente influenza nella regione, a partire dalla Siria.

Ma il business europeo è nel mirino di Washington anche per i legami con la Russia, a sua volta sotto sanzioni. Già la settimana scorsa, a Sochi insieme a Putin, Angela Merkel ha ribadito l'appoggio al gasdotto Nord Stream 2, che gli Usa sono determinati a fermare. Al progetto russo che prevede il raddoppio della rotta del gas sul Baltico partecipa anche la francese Engie.
Con Putin, ha detto Macron intervistato dal Journal du Dimanche, «voglio un dialogo strategico e storico per legare la Russia all'Europa, e non lasciare che si ripieghi su se stessa». Da Versailles, dove il presidente francese aveva accolto Putin un anno fa, ai palazzi zaristi di Pietroburgo: l’atmosfera oggi e domani dovrebbe migliorare, anche a dispetto del caso Skripal che in marzo ha visto anche la Francia unirsi all’espulsione di diplomatici russi avviata dalla Gran Bretagna. E tuttavia, malgrado le pressioni a cancellare l’invito, quel giorno stesso l’Eliseo aveva confermato il vertice in Russia.

Accompagnato da un gruppo di start-up, Macron ritroverà a Pietroburgo i veterani della presenza francese in Russia: Auchan e Danone, Société Générale e Sanofi. Ma soprattutto Total, che partecipa al più grande progetto artico con la russa Novatek a Yamal, pionieri dell’estrazione di gas naturale in Russia. Gli strettissimi legami tra Total e la Russia, nel nome del presidente Christophe de Margerie che, rimasto ucciso nel 2014 in un incidente aereo proprio a Mosca, ora è il nome della prima nave cisterna rompighiaccio del consorzio, non sono immuni dal rischio sanzioni e dall’avvento sulla scena di nuovi attori: se a Yamal il grosso dei finanziamenti è assicurato dai cinesi, alla porta dell'ampliamento del progetto stanno bussando i sauditi.

Angela a Pechino
Alla guida di una nutrita rappresentanza di imprese, Angela Merkel si presenta in Cina con un’agenda complicata: da un lato frenare lo shopping di gioielli tecnologici tedeschi da parte di gruppi cinesi spesso sostenuti da risorse pubbliche, dall’altro rafforzare le relazioni economiche con il proprio primo partner commerciale, difendendole anche dall'aggressiva politica commerciale di Washington e dalle concessioni che sembra strappare a Pechino.
La Germania, a sua volta, è il primo partner commerciale europeo della Cina, con un interscambio che nel 2017 ha raggiunto il valore di 187 miliardi di euro. Al tempo stesso, la Germania è anche l’economia che più ha da perdere in caso di riorientamento delle importazioni cinesi a favore degli Usa. È ancora presto per dire se l’impegno preso da Pechino, quello di aumentare l’import dagli Stati Uniti, possa generare un effetto sostituzione a scapito delle imprese europee. Ma c’è già chi pone il problema, come fa Wang Yiwei, direttore del Renmin University Institute of International Affairs di Pechino: «L’effetto sostituzione ci sarà di sicuro».

Al tempo stesso, Berlino teme quanto e forse più degli Stati Uniti l’avanzata tecnologica della Cina. La sua industria manifatturiera è la più esposta alla concorrenza cinese, insieme a quella della Corea del Sud.
È questo un fronte sul quale Berlino e Washington possono trovare una linea comune, perfino in questa fase di relazioni tanto complicate tra le due sponde dell’Atlantico. Dopo l’acquisizione della fabbrica di robot Kuka da parte della cinese Midea, nel 2016, Berlino ha rafforzato i controlli sugli investimenti esteri, ampliando i settori industriali nei quali scatta il controllo delle autorità. E l’ingresso di Geely nel capitale di Daimler a febbraio non ha fatto che riaprire quella ferita.

Già alla fine di aprile, il ministro dell’Economia Peter Altmeier ha parlato apertamente dell'ipotesi di varare una nuova stretta per difendere i gruppi tedeschi, abbassando la soglia di capitale oltre la quale scatta il controllo sulle acquisizioni estere. Il tetto, oggi fissato al 25%, potrebbe scendere fino al 10%.
Insieme a Francia e Italia, la Germania ha lanciato la proposta di dotare la Ue di uno strumento in grado di supervisionare le acquisizioni di imprese europee in settori strategici, sulla falsa riga dell'agenzia statunitense Cfius, che il Congresso si prepara a rafforzare.
Negli ultimi 10 anni, la Cina ha speso almeno 318 miliardi di dollari in acquisizioni e investimenti in Europa, secondo i dati di Bloomberg. Il 45% in più delle risorse finite negli Stati Uniti.

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