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Cooperazione e sviluppo: all’Europa servono 123 miliardi. Ecco…

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Cooperazione e sviluppo: all’Europa servono 123 miliardi. Ecco perché conviene anche all’Italia

«Aiutiamoli a casa loro». È uno degli slogan usati dalla Lega e non solo a proposito dei Paesi in via di sviluppo e dei migranti. L’Europa lo sta già facendo, attraverso la divisione Cooperazione e Sviluppo.

Non si tratta di beneficienza, ma di progetti che vedono in campo fondi Ue e Pmi dei vari stati e che si concretizzano anche in casi virtuosi.

Come Awalebiz, la prima e più ampia piattaforma retail online per la moda e la sartoria africana. Sulla vetrina virtuale si susseguono gonne e camicie dai colori sgargianti, essenze al cocco e anche una linea di allegri pannolini per bambini e assorbenti femminili lavabili al 100% senza scolorire. Lanciata 3 anni fa, Awalebiz ha subito travalicato il confine senegalese e spedisce in tutto il mondo le creazioni di oltre 50 brand e stilisti, oltre a prodotti dell’artigianato locali per l’igiene e la cura personale.

A fondarla, una professionista 40enne, Nafi Diagne: «Avendo lavorato a lungo nell’It per multinazionali estere, ho osservato quanta fatica fanno, ovunque, le piccole imprese artigianali a emergere. Soprattutto se non sono supportate dalla tecnologia. Permettendo a piccoli produttori africani di ampliare il proprio mercato, faccio business, li aiuto a crescere e a farlo in maniera responsabile e sostenibile. Magari ad assumere nuovo personale o formare giovani al loro mestiere».

Anche se la sua è un'iniziativa imprenditoriale totalmente privata è la stessa direzione che da tempo ha preso la cooperazione internazionale della Ue verso i Paesi in via di sviluppo. Soprattutto l’Africa. Non beneficienza, ma una strada che conviene a tutti. Tradotto, invece di portare il pesce, la Ue punta a fornire non solo la canna da pesca ma anche la capacità di usarla e di creare le condizioni perché il pescato possa essere in connessione coi mercati globali.
E per riuscirci servono modelli di business, servono le imprese europee, le Pmi che, dall’alimentare alla meccanica, dal tessile alle energie rinnovabili, dalle tlc ai servizi web, siano pronte a vedere la cooperazione per lo sviluppo come il primo passo per entrare in mercati nuovi, fare analisi di mercato e conoscere il tessuto locale.

Se ne parla da due giorni a Bruxelles, dove oggi si chiudono gli European Development Days e che, dalla prima edizione del 2006, i sostenitori chiamano la “Davos dello sviluppo”. In tutto 8mila tra ministri e capi di stato, ong e associazioni che sotto la regia della Commissione Ue, fanno il punto sulle politiche di cooperazione internazionale. Quest’anno, il fil rouge sono la condizione femminile e le politiche di emancipazione.

Cooperazione da riformare
Ma la partita è molto più ampia. Intanto perché nel 2020 scadono i cosiddetti “Accordi di Cotonou” che regolano l’infrastruttura della cooperazione. Ma se ne parla già ora. E molti osservatori ne contestano l’efficacia, evidenziando lo scarso livello di collaborazione effettiva, lo scollamento tra principi ambiziosi e loro effettiva attuazione nella realtà, il prevalere di un’agenda politica europea sull’allocazione delle risorse ma anche su un minimo rispetto dei diritti umani. In pratica, in molti casi i soldi della cooperazione, più che promuovere lo sviluppo economico di questi Paesi, hanno soddisfatto le necessità di sicurezza e controllo dell’immigrazione.

Il prossimo bilancio Ue
Ma in campo ci sono soprattutto i finanziamenti allo sviluppo del prossimo bilancio 2020-2027. «La commissione Ue – ha spiegato Stefano Manservisi, Direttore generale della divisione Cooperazione e Sviluppo di Bruxelles – ha richiesto 123 miliardi di euro, circa il 26% in più del periodo precedente». Tra lo scetticismo di molti. Tra la Brexit (che porta all’uscita di un contribuente importante) e governi sempre più ostili alla cooperazione, la partita sembra tutta in salita. Ma la Commissione punta anche ad accorpare gli attuali 12 strumenti esistenti per le politiche di sviluppo in uno solo, con grande preoccupazione di ong e associazioni.
Intanto, un anno fa, Bruxelles ha creato il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (Efsd), stanziando complessivamente 4,1 miliardi (per un effetto leverage di investimenti privati sino a 44 miliardi) per sostenere gli investimenti delle imprese in Paesi “fragili”. Di questa somma 1,5 miliardi sono a garanzia di progetti di investimento di aziende private per il triennio 2018-2020 e 2,6 sono stati donati per assistenza tecnica e interventi di capacity building a sostegno del business climate.

Quanto dona l’Italia
L’Italia da fanalino di coda tra i Paesi più avanzati per percentuale di reddito nazionale destinato allo sviluppo, è tornata ad assumere un ruolo di primo piano, diventando il quarto donatore del G7. Nel 2017 abbiamo destinato alle emergenze umanitarie quasi 120 milioni di euro, il 20% in più rispetto al 2016.
Ma la cooperazione è anche un asse per sviluppare progetti di internazionalizzazione per le nostre Pmi e occupazione qualificata. Secondo la Farnesina, il settore negli ultimi anni ha creato opportunità, segnando un trend di crescita annuale del 10%

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