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Dossier | N. 52 articoli L’Europa dopo il voto

Chi è Margrethe Vestager, la lady di ferro che fa infuriare Silicon Valley e Trump

«I much like the U.S.», mi piacciono molto gli Stati Uniti. Dopo aver annunciato la multa da 4,3 miliardi a Google, Margrethe Vestager ha voluto sgombrare il campo da un equivoco diventato, col tempo, un argomento politico. Il commissario alla Concorrenza «non odia l’America», come l’ha accusata di fare Donald Trump. Il presidente degli Stati Uniti, nella veste inedita di difensore della Silicon Valley, le ha appioppato l’etichetta di «lady tax» e amplificato una voce vecchia di anni: Vestager avrebbe dichiarato guerra ai colossi tech, con una

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particolare predilezione per quelle che battono bandiera americana. La diretta interessata non dà segni di nervosisimo e ribadisce la sua linea, l’unica espressa finora: «Si tratta solo di far rispettare le regole», a suo dire senza particolari preferenze o antipatia per le aziende che finiscono sotto la lente dell’Antitrust.

«Il più grande antitrust per i ricchi del pianeta»
Nata in un sobborgo di Copenaghen nel 1968 da una coppia di pastori luterani, Vestager si laurea in economia nell’Università della capitale danese nel 1993. La passione politica sboccia in fretta e la destina al Radikale Venstre, un partito di int0nazione liberalsocialista che confluisce nella famiglia europea dell’Alde. Dal 1998 al 2000 è ministro dell’Istruzione e degli affari ecclesiastici, dal 2000 al 2001 ministro dell’Istruzione, poi alcuni anni al vertice del partito e di nuovo un dicastero fra il 2011 e il 2014, come ministro dell’Economia e degli Affari interni. L’esecutivo è quello di Helle Thorning-Schmidt, prima donna della storia alla guida del paese, ma Vestager guadagna un’influenza tale da farsi considerare dai media esteri come «la persona più importante» del governo.

Vestager, fra le altre cose, mette mano al sistema di welfare danese smussando i sussidi per la disoccupazione, guida proteste istituzionali contro i requisiti di liquidità di Basilea III (un insieme di riforme per la regolazione del sistema bancario) e lavora sul progetto di unione bancaria a fianco dell’attuale numero uno della Commissione europea Jean-Claude Juncker. I due si ritroveranno vicini nel 2014, quando Vestager si insedia come commissaria alla Concorrenza. Diventando una paladina della leggi europee contro le ingerenze dei colossi stranieri o una «signora delle tasse» interessata a far carriera, secondo le veste cucitale addosso da chi la apprezza di meno.

Tra multe record e divergenze Usa-Ue
Anche se la Commissione non ha indagato solo su aziende della Silicon Valley (si pensi alla russa Gazprom), Vestager ha finito per essere nota soprattutto per le multe inflitte alle multinazionali americane del Web e del tech in generale. La cronistoria delle sanzioni di Bruxelles degli ultimi anni spiega bene il perché. Oltre al doppio affondo su Google (4,3 miliardi per Android e 2,4 miliardi nel 2017 per Google Shopping), la lista include l’obbligo per Apple di restituire all’Irlanda 13 miliardi di euro «sottratti» al fisco con un accordo illegale ; una richiesta simile ad Amazon nel 2017, per un totale di 250 milioni; altri 110 milioni di euro nel 2017 a Facebook per informazioni «depistanti» sulla sua acquisizione di Whatsapp nel 2014; 997 milioni a Qualcomm nel 2018, sempre per abuso di posizione dominante.

L’operato di Vestager e della Commissione ha finito per offuscare anche l’agenzia antitrust americana, la Federal trade commission, che in passato ha inflitto ad aziende del settore multe molto più blande (come i 22,5 milioni di dollari fatti scontare a Google nel 2012 per aver nascosto l’uso di cookie su un browser) e ora si dice «interessata a capire di più» l’origine dei 5 miliardi imposti da Bruxelles a Big G. La discrepanza tra le due sponde dell’Atlantico non riguarda solo Vestager, ma due diversi modi di concepire il suo principale oggetto di indagine: l’abuso di posizione dominante e le sue ripercussioni sui consumatori. La tesi di Vestager, applicata nelle sua varie sanzioni, è che quando un colosso abusa del suo dominio si restringano le possibilità per i consumatori e si scoraggi l’ingresso di nuove imprese sul mercato. È successo con Android, avrebbe potuto succedere con Microsoft.

La tesi che sembra prevalere nelle investigazioni della Ftc è quella sostenuta a spada tratta da Google: la presenza di un grosso player non danneggia per forza né i consumatori (che scelgono Android perché è gratis e offre servizi di buona qualità) né i concorrenti (Google fa l’esempio di iOS, anche se sorvola sul fatto che tutti gli altri sistemi operativi sono schiacciati ai margini). Quando le chiedono conto di questo, Vestager rispiega quello che ha già detto a Google, Apple e tutte le aziende finite nel suo mirino: «Si tratta di essere all’altezza delle proprie responsabilità», almeno finché si resta nei confini europei.

La carriera (politica) è appena iniziata
Il settimanale britannico The Economist si è chiesto, polemicamente, se Vestager stesse «difendendo i consumatori o la sua carriera politica», alludendo alle prospettive che si potrebbero aprire per la commissaria dopo il termine del suo mandato. In fondo si parla di una figura carismatica, espressione di quel blocco liberal che si mantiene a distanza dall’Europa di Visegrad e riesce a tenere testa sia alle ingerenze dei colossi della Silicon Valley che alla loro nemesi storica, Donald Trump. Allo scorso Web Summit, un maxievento di tecnologie organizzato a Lisbona, Vestager è riuscita scaldare la platea parlando di argomenti poco sexy, in genere, come le leggi sulla concorrenza e il rapporto fra diritto e algoritmi. Al termine di una conferenza stampa ha scattato una foto ai cronisti, twittando l’immagine con una didascalia: «Incontro con la stampa dal mio punto di vista». Nessuno si sarebbe offeso, ma aveva comunque ottenuto il via libera della sala per l’utilizzo di quei dati. Pochi, meglio di lei, sanno quanto è importante chiedere «posso?» prima di andare online.

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