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Draghi avverte l’Italia: le parole fanno danni ma non…

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LA RIUNIONE DI SETTEMBRE

Draghi avverte l’Italia: le parole fanno danni ma non c’è contagio, il Qe finirà come previsto

Le vicende italiane riguardano l’Italia. Non coinvolgono - al momento, almeno - Eurolandia nel suo complesso e quindi non consigliano di cambiare l’orientamento della politica monetaria. Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, è stato molto chiaro nel valutare quanto accade ai rendimenti del nostro paese. In risposta a domande che puntavano a capire se l’autorità di Francoforte intendesse intervenire per “sostenere” l’Italia, ha dato (e ripetuto) una risposta netta: «Non vediamo ricadute in altri Paesi». È quindi un’illusione l’idea che il qe possa essere prolungato per venire incontro all’Italia: la sua funzione, ha del resto spiegato, «non è quella di assicurare che i deficit pubblici siano finanziati in tutte le situazioni».

In attesa dei fatti
Sulla politica fiscale italiana la Bce attenderà comunque «i fatti», ha spiegato Draghi: la legge Finanziaria ma anche «la discussione parlamentare». Il presidente ha però sottolineato che «le parole hanno creato qualche danno: i tassi sono saliti, per le famiglie e le imprese». Italiane, ovviamente. In ogni caso, ha ripetuto, «il presidente del consiglio, il ministro dell’Economia, il ministro degli Esteri hanno tutti detto che l’Italia rispetterà le regole». Sono loro quindi, e non altri, i punti di riferimento della Banca centrale europea.

GUARDA IL VIDEO / Draghi sull'Italia: le dichiarazioni hanno già fatto danni

Cruciale il rispetto delle regole Ue
L’Italia ha probabilmente suggerito anche una lieve modifica del comunicato introduttivo alla conferenza stampa: «L’espansione generalizzata dell’economia spinge a ricostituire i margini di manovra nelle finanze pubbliche. Ciò è particolarmente importante per i paesi in cui il debito pubblico è alto» ha ripetuto il documento aggiungendo però la frase: «e per i quali il rispetto pieno al Patto di crescita e stabilità è cruciale per salvaguardare una sana situazione fiscale».

Rischi ancora bilanciati
La Banca centrale europea non ha dunque nessun motivo per cambiare il suo orientamento. La bilancia dei rischi resta “bilanciata”. Se la crescente ondata di protezionismo, le vulnerabilità di alcuni Paesi emergenti e la volatilità sui mercati finanziari sono fattori che possono far peggiorare le prospettive di Eurolandia, una politica fiscale meno neutrale, la forza dell’economia, l’aumento dei posti di lavoro e dei salari nominali, l’incremento della ricchezza delle famiglie e le condizioni finanziarie accomodanti permettono - ha spiegato Draghi - di compensare gli effetti dei fattori negativi.

Verso il sentiero di equilibrio
Poca preoccupazione hanno generato quindi, nel consiglio direttivo, i recenti, deboli, dati sulla produzione industriale. Per la Bce si tratta di un ulteriore segnale del fatto che l’economia di Eurolandia, dopo qualche trimestre di leggero surriscaldamento - ha corso al di sopra della sua crescita potenziale - sta tornando al suo “sentiero di equilibrio”. Draghi ha sottolineato che l’attuale orientamento di politica monetaria è «robusto»: non bastano piccole oscillazioni a consigliarne una riconsiderazione.

Timori sul protezionismo
Anche le attese correzioni al ribasso delle proiezioni economiche sulla crescita si sono rivelate poca cosa: il pil crescerà 2%, contro il 2,1% indicato a luglio, nel 2017; dell’1,8%, contro l’1,9%, nel 2019; e dell’1,7% nel 2020. Il rallentamento è quasi tutto legato alle misure protezionistiche - quelle effettive, non quelle solo annunciate - che sono la vera fonte di preoccupazione della Bce: i fattori di rischio sono la rapidità dell’escalation, gli effetti sulla fiducia di una prolungata “guerra commerciale” e soprattutto le implicazioni per la value chain internazionale, per la quale le aziende assemblano parti costruite in paesi diversi. In ogni caso, la revisione delle proiezioni - generata da fattori esogeni, il commercio estero - non richiede una revisione dell’orientamento della Bce.

Obiettivo del 2% in vista
I prezzi, inoltre, non preoccupano molto. Le proiezioni indicano che alla fine di questo e dei prossimi due anni, l’inflazione media annua sarà pari all’1,7%. In sé non è un dato entusiasmante - lo stesso Draghi lo aveva ammesso in passato - ma è il frutto di un riequilibrio “sano” delle varie componenti: un leggero calo dei prezzi dell’energia, e un’inflazione core significativamente più forte, sulla spinta di salari nominali in rialzo «un po’ dappertutto», sia pure a ritmi diversi (i più veloci in Germania). «Raggiungeremo il nostro obiettivo nel medio termine», ha dunque concluso Draghi. Anche grazie a una politica monetaria molto espansiva: se il quantitative easing, ha confermato la Bce, terminerà a dicembre - e si ridurrà dal mese prossimo a 15 miliardi al mese - i tassi resteranno fermi almeno fino all’estate 2019.

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