Da deadline a deadlock: da scadenza definitiva a punto morto. I media internazionali ironizzano così sull’ennesimo stallo nei negoziati della Brexit, il divorzio fra Regno Unito e Ue al via - teoricamente - il 29 marzo 2019. Il Consiglio europeo che si è appena chiuso a Bruxelles avrebbe dovuto imprimere un’accelerazione decisiva ai negoziati. È successo il contrario: l’unica novità emersa dalla due giorni è l’ipotesi, diffusa tra i leader europei, di allungare di un anno il periodo di transizione fissato dall’accordo originale (dal 2018-2020 a, forse, il 2018- 2021). I margini di manovra sono così vaghi che i rappresentanti Ue hanno deciso di lasciare in standy by il summit speciale del 17-18 novembre, in attesa di capire se ci siano gli elementi per confermare l’incontro. Nel frattempo restano sul tavolo tutti i punti più caldi del divorzio, a partire dalla questione dei confini irlandesi: la stessa impasse che ha arenato l’accordo interno alla maggioranza di May e sta creando ancora più tensioni con l’Europa. La sterlina è scivolata ai minimi da 10 giorni dopo il flop del Consiglio.
1) Ma quindi cosa si è deciso al Consiglio europeo?
Nel concreto, nulla. Il vertice era atteso come un punto di svolta per le trattative, ma i media presenti all’evento parlano
di un clima di «frustrazione» su entrambe le parti del tavolo. Il primo ministro Theresa May non si è presentata alla cena
di ieri, dedicata alla Brexit, con una proposta strutturata per i leader dei 27 paesi seduti al tavolo, deludendo chi sperava
in un documento integrato dai rilievi mossi in occasione del vertice di Salisburgo. La posizione di May non è chiara neppure
quando si parla dell’allungamento del periodo di transizione: dopo averlo proposto in mattinata, incassando l’ok di quasi
tutti i presenti, May è tornata sui suoi passi, limitandosi ad accettare un’ipotesi «emersa» da altre fonti.
Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha dichiarato nella conferenza stampa successiva al meeting che «sarà comunque raggiunto un accordo», sconfessando le voci di uno scenario no-deal: una Brexit sprovvista di qualsiasi intesa diplomatica, ipotesi che terrorizza soprattutto il mondo del business e del commercio internazionale. Di fatto, però, i negoziati sono fermi al palo e l’Europa resta in attesa di una proposta articolata da May. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha ribadito che «ciascuno dovrebbe essere pronto» agli scenari più drastici. Il presidente francese Emmanuel Macron è stato anche più netto, invitando a May e il suo staff a «ripresentarsi con una proposta basata su un compromesso in casa». L’intera Brexit, aggiunge Macron, è «diventata un problema politico britannico».
2) In che senso? E quali sono i fronti aperti?
Macron allude all’opposizione subita da May nel parlamento britannico e fra le file del suo stesso partito, i conservatori,
spaccati fra posizioni più ostili o accomodanti verso l’Europa. L’argomento più spinoso sono i confini tra Irlanda e Irlanda
del Nord, la porzione dell’isola che appartiene al Regno Unito. L’oggetto del contendere è il cosiddetto backstop, l’accordo
che prevede di non istituire un confine rigido fra Dublino e Belfast anche in caso di una rottura no-deal fra il Regno Unito. Il compromesso
è stato raggiunto già nel 2017, ma Gran Bretagna ed Europa stanno litigando su come dovrebbe funzionare. I paesi Ue hanno
proposto che il backstop permetta all’Irlanda del Nord di restare all’interno del mercato unico, scorporandola di fatto dai
confini commerciali della Gran Bretagna. May ha rispedito al mittente l’ipotesi, temendo per l’integrità del paese, e ha cercato
di proporre un «backstop allargato» che mantenga l’intero Regno Unito nel perimetro comunitario. Ma l’ipotesi ha scontentato
sia i colleghi di partito che i negoziatori europei: i primi non amano l’idea di restare ancorati ai «diktat di Bruxelles»,
i secondi non vogliono concedere a Londra il pieno accesso ai benefit dell’unione anche dopo il suo addio.
3) Non si era parlato anche di un «backstop a tempo»?
Un’altra soluzione di compromesso avanzata è quella di un backstop «a tempo»: un regime di libera circolazione interno all’isola
irlandese che si sarebbe esaurito entro a una certa scadenza, rassicurando sull’integrità del Regno Unito i parlamentari conservatori
e gli alleati unionisti (i partiti nordirlandesi fedeli alla Corona). Anche su questo, però, May ha assunto linee contrastanti.
In conferenza stampa,a Bruxelles, la premier ha dichiarato che «nessuno vuole i backstop», liquidandoli al massimo come «una
questione di pochi mesi». Ma sottotraccia, stando alle indiscrezioni emerse finora, la leader dei Tory starebbe lavorando
in direzione opposta. A quanto rivela Politico, una testata In statunitense con uffici a Bruxelles, la stessa May avrebbe
già scartato l’ipotesi: il primo ministro irlandese Helen McEntee sostiene di essere stata «rassicurata» dalla controparte
britannica sul fatto che «non ci possono essere limiti di tempo» all’apertura di confini tra Irlanda e Irlanda del Nord.
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