Che l’economia cinese sia in rallentamento, più che una novità è un trend storico, con le caratteristiche dell'inevitabilità.
I nuovi segnali di frenata provenienti da Pechino stanno però rivelandosi come un fattore cruciale che pesa sui mercati azionari
internazionali in questo inizio anno, generando un abbattimento della propensione al rischio con pesanti effetti anche sui
mercati valutari (ad esempio con un forte apprezzamento dello yen).
La conferma è arrivata ieri dal Ceo di Apple Tim Cook, che ha attribuito alle difficoltà sul mercato cinese il primo taglio
dell'outlook sulle vendite da quasi un ventennio. «Pur attendendoci difficoltà in mercati emergenti-chiave, non avevamo previsto
l'ampiezza della decelerazione economica, particolarmente nella Greater China», ha detto Cook. Una dichiarazione arrivata
a ruota della comunicazione di dati che segnalano una contrazione del settore manifatturiero in Cina a dicembre, con l'indice
Caixin/Markit Pmi in calo superiore alle attese a 49,7, sotto la soglia di 50 -a segnalare una contrazione – per la prima
volta in 19 mesi.
Le ricadute della guerra commerciale Usa-Cina
Se vari analisti hanno evidenziato che la guerra commerciale in corso con gli Usa di Donald Trump sta provocando conseguenze
sulla fiducia e l'attività delle imprese, lo stesso Cook è andato oltre, sottolineando che le incertezze legate alle frizioni
commerciali non solo pesano in questo senso e sui mercati finanziari, ma hanno «raggiunto i consumatori». Le incognite sull'andamento
del settore dei consumi, insomma, si aggiungono a quelle sulla produzione e l'export, proiettandosi in modo negativo sulle
prospettive delle vendite di molte grandi imprese internazionali. Tanto più che, secondo alcuni osservatori, la situazione
creata dalla linea dura di Trump – che dal commercio si estende fino a intaccare i piani strategici di Pechino sull'upgrading
tecnologico dell'intera economia – possono indurre i consumatori cinesi a un approccio più «nazionalista» agli acquisti, privilegiando
prodotti locali a scapito di quelli di importazione.
È un contesto che ha finito per rilanciare i dubbi sul livello di affidabilità delle statistiche ufficiali cinesi, da sempre
sospettate di essere “massaggiate”. Se per il 2018 è probabile che il target ufficiale di crescita intorno al 6,5% sarà formalmente
centrato, proliferano stime secondo cui il 2019 potrebbe registrare una frenata dell'espansione del Pil anche ben sotto il
6 per cento. Del resto, secondo Richard Harris, che ne ha scritto sul The South China Morning Post, ci sono «report verbali
da parte di accademici cinesi secondo cui la crescita in corso in realta' sarebbe molto piu' bassa, fino a solo un +1,5%».
In sintesi, i venti di rallentamento dell'economia globale sembrano trovare un epicentro nel Paese che negli ultimi anni ha
maggiormente contribuito all'espansione. E c'è da temere che la situazione sia peggiore di quanto appaia e che il peggio debba
ancora venire.
Le incertezze del governo cinese
Non giova poi la sensazione che il governo cinese questa volta appaia incerto sul da farsi: una riunione-chiave degli organismi
decisionali a dicembre si è conclusa con un rinvio, peraltro ampiamento giustificato dall'esigenza di attendere l'arrivo o
meno di una schiarita nelle tensioni commerciali con gli States, dopo il «cessate il fuoco» per 90 giorni a partire dal primo
dicembre concordato al G20 in Argentina tra Trump e il presidente Xi Jinping. Il 7 e 8 gennaio si svolgeranno a Pechino colloqui a livello viceministeriale per cercare di superare l'impasse ed evitare ulteriori inasprimenti di dazi. I dilemmi di Pechino si fanno sempre più difficili. Se è da anni che le autorità
cercano di attuare riforme che possano posizionare l'economia su una strada più sostenibile, anche a costo di rallentare la
crescita, ora la congiuntura dell'economia mondiale e le frizioni commerciali complicano ogni soluzione. In passato,spesso,
gli investimenti pubblici in infrastrutture hanno fatto da supporto facilmente calibrabile: oggi questa soluzione appare meno
ovvia, anche per la volontà di non interrompere gli sforzi per ridurre il “leverage” nell'economia (considerato essenziale
per la salute a lungo termine del sistema). Il contenimento dello “shadow banking” e le necessità di ricapitalizzazione delle
banche fanno da freno a una eventuale espansione del credito che appare comunque essenziale per stimolare l'economia.
Le Borse aspettano misure espansive
Va da sé che i cali delle Borse internazionali sarebbero anche più spiccati se non fosse emersa l'attesa di concrete misure
in senso espansivo da parte delle autorità cinesi. Ad esempio, molti ipotizzano un allentamento delle restrizioni che sono
state introdotte sul mercato immobiliare per frenare le “bolle”, specialmente nelle grandi città. A parte il real estate,
secondo Jim O'Neill, ex chief economist di Goldman Sachs, «ogni ulteriore stimolo dovrebbe concentrarsi nel supporto al settore
dei consumi», che è cresciuto molto in importanza negli equilibri complessivi dell'economia.
Banca centrale interviene con nuovo taglio coefficienti di riserva banche
Nel frattempo, però, la banca centrale cinese che ha annunciato un nuovo taglio della quantità di denaro che le banche devono
detenere come riserve. Si tratta del quinto intervento nell’ultimo anno, destinato a liberare 116 miliardi di dollari per
nuovi prestiti. Il taglio dei coefficienti di riserva delle banche è il primo del 2019 per la Banca popolare cinese, intervenuta
più volte lo scorso anno. I coefficienti di riserva - attualmente il 14,5% per le grandi istituzioni e il 12,5% per le banche
più piccole - saranno abbassati di un totale di 100 punti base in due fasi, ha affermato la Banca popolare cinese. I tagli
saranno effettivi il 15 gennaio e il 25 gennaio prima delle lunghe celebrazioni del nuovo anno lunare. Le misure di sostegno
libereranno 800 miliardi di yuan netti (116,51 miliardi di dollari) dopo che le banche hanno utilizzato parte dei 1,5 trilioni
di yuan in liquidità immessi nel sistema finanziario per rimborsare i prestiti a medio termine a scadenza.
Una grande incognita, infine, riguarda come proseguiranno le riforme sistemiche in un contesto geopolitico più teso: dalle promesse di una maggiore apertura a soggetti stranieri – nel settore finanziario e non – fino all'attuazione di provvedimenti per rendere più equa la competizione tra grandi società a controllo statale e gli altri operatori economici. Al dunque, per l'andamento dei mercati risulterà essenziale la traiettoria della crescita cinese: anche più del governo, le Borse internazionali non possono permettersi una crescita del Pil inferiore al 6% senza dolori molto acuti.
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