Per gli hacker è un invito a nozze. Il voto europeo, di fatto, rappresenta una serie simultanea di singole elezioni che avranno luogo tra il 23 e il 26 maggio, caratterizzate storicamente da un alto astensionismo. L’integrità del voto dipende dalle contromisure che 27 Stati differenti sapranno mettere in campo contro hacker e sistemi di disinformazione. Basta una sola falla, in un solo Stato, per “congelare” l’intero Parlamento europeo.
Come sottolinea un recente studio della Ue sui cyberpericoli legati alle elezioni, una campagna hacker che riesca a colpire anche solo uno dei Ventisette può inficiare l’assegnazione dei seggi «compromettendo l’intero processo elettorale». Di più: attraverso l’impossibilità di convocare il Parlamento europeo appena eletto «può incidere sul funzionamento stesso dell'Unione europea».
Allarmi esagerati? Non secondo il Commissario europeo alla Sicurezza, Julian King, che sottolinea come «la natura dispersa del voto e la lunga durata delle elezioni rappresentino una tentazione» per hacker e disinformazione: perciò «tutti devono assumersi le proprie responsabilità poiché un sistema è sicuro solo se lo è anche l'anello più debole della catena».
Mentre il Commissario alla Giustizia, la ceca Věra Jourová, ha chiesto con urgenza ai Governi Ue di costituire un network pan-europeo per monitorare la campagna elettorale sui social media e in generale
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su internet, in modo da poter applicare le regole fatte rispettare al mondo “offline” anche al mondo digitale. «Una cosa è chiara - ha tagliato corto la Jourová - : il voto di maggio non sarà “business as usual” e non possiamo permetterci di trattarlo come tale».
Bruxelles è in pieno allarme e sta preparando le sue contromisure. Come riferito qualche giorno fa da “Politico”, l’Unione europea ha predisposto un nuovo schema di sanzioni contro i cyberattacchi che sarebbe al vaglio dei vari esperti informatici nazionali per poi approdare sul tavolo dei ministri degli Esteri dei Ventisette. Le sanzioni colpirebbero non solo gli attacchi informatici riusciti ma anche quelli solo tentati, utilizzando anche le armi delle sanzioni commerciali e finanziarie (fino al congelamento dei beni) contro gli Stati che organizzano le offensive digitali.
Secondo Bruxelles il responsabile numero uno della disinformazione (soprattutto online) è la Russia, con un budget annuale di 1,1 miliardi di euro, mille persone impiegate a tempo pieno nella sola San Pietroburgo e 4.564 casi di fake news identificati dalla Ue (soprattutto su temi come migranti, terrorismo, Europa, Ucraina e Siria). «Abbiamo visto tentativi di interferire in elezioni e referendum, con prove che indicano la Russia come fonte primaria di queste campagne», ha denunciato Andrus Ansip, vicepresidente della Commissione europea, invitando gli Stati membri a «essere uniti e mettere insieme le nostre forze per proteggere le nostre democrazie contro la disinformazione».
I Paesi Ue che aderiscono alla Nato hanno addirittura concordato di considerare un massiccio cyberattacco alla stessa stregua di un atto di guerra. Ma come essere sicuri di identificare correttamente pirati informatici e mandanti? Come essere certi che i Ventisette, spesso divisi, restino uniti nelle ritorsioni contro chi organizza la “disinformazione”? Ci sono Stati che probabilmente non possiedono le sofisticate competenze tecniche in grado di identificare da dove arriva l’attacco, altri che esiterebbero sulle ritorsioni per ragioni politiche, commerciali o economiche.
La sovranità dei singoli Stati europei costituisce di fatto un freno al colossale “firewall” che Bruxelles vorrebbe costruire come corazza per difendere la legittimità delle elezioni europee. È questo che continua a rendere il voto di maggio una preda così invitante per chi vuole cercare di influenzare il destino dell'Europa.
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