Non si dimenticano mai davvero le proprie radici culturali; e un politico non può neanche provare a farlo. La lettera sul Rinascimento europeo che il presidente Emmanuel Macron ha voluto inviare da Parigi, in 23 lingue diverse, a tutti i cittadini dell’Unione, ha l’ambizione di costruire il concetto di una vera sovranità europea, tutta in stile francese.
I limiti del sovranismo
Souveraineté, in realtà, è parola che non compare nel testo della lettera. Giustamente: con la campagna elettorale europea
ormai avviata, meglio non confondere il proprio messaggio con quello dei cosiddetti “sovranisti”. Meglio lasciare che cadano
in contraddizione da soli, come è inevitabile che sia: non ci può essere strategia comune, tantomeno europea, per i sovranisti
e i nazionalisti radicali, ma solo accordi tattici (come mostrano, per fare un solo esempio, gli incontri-scontri tra Salvini
e Orban). L’unico riferimento di paese sovrano al concetto è polemico e tutto sommato irrilevante («Chi può permettersi di
essere sovrano di fronte ai giganti del digitale?»).
Un concetto tutto francese
Souveraineté è però concetto francese, nato con Jean Bodin e sviluppato - nella sua versione democratica - dal Jean-Jacques Rousseau nel
suo Contrat Social (che è un testo più di dottrina dello Stato che politico). Persino autori come Montesquieu (con la sua
idea della divisione dei poteri) o Burlamaqui si sono preoccupati di limitarne la portata, non di negarne esistenza o coerenza.
L’Europa come moltiplicatore della sovranità
Il concetto di souveraineté - e la sua applicazione pratica, l’amministrazione centralista francese - attraversa però tutto il testo della lettera (e
tutta la retorica europeista di Macron). Il presidente francese pensa da sempre all’Europa come a un moltiplicatore della
sovranità dei singoli Stati, e predilige infatti il metodo intergovernativo; e in questo senso trasferisce all’Europa le sole
competenze che non possono più essere efficacemente perseguite dai singoli partner.
Libertà e sicurezza
La logica, però, resta quella dello Stato amministrativo e centralizzato. Solo qualche esempio. La libertà e è giustamente
difesa, ma con la creazione di un’Agenzia (centrale) di protezione delle democrazie, strumento centralistico e - come tutte
le istituzioni a difesa della libertà - insufficiente. Nulla sul federalismo, nulla sulla imperfetta distribuzione dei poteri
in Europa, nulla sulle istituzioni europee non intergovernative, di cui ha invece recentemente parlato Mario Draghi, nulla
su checks and balances. Nello stesso tempo si vuole limitare la libertà di espressione bandendo «tutti i discorsi di odio e di violenza», proposito
nobile di perversa applicazione.
Il mercato come strumento di politica estera
Il “liberale” Macron prende anche le distanze dal mercato, lasciando il termine - ambiguo come pochi - nel vago. «Un mercato
è utile, ma non deve far dimenticare la necessità di frontiere che proteggono e di valori che uniscono», scrive Macron, con
una frase che da sola può scatenare infinite discussioni. Il presidente francese pensa alla necessità di limitare la concorrenza
straniera, ma non nel tentativo di creare un level playing field nei confronti di aziende tendenzialmente monopoliste, o che godono del sostegno di governi stranieri e di sistemi economici
autoritari o oligarchici o, peggio, che possono svolgere ruoli politici e non strettamente economici. Piuttosto, trasformando
il “commercio” tra strumento, imperfetto, di pace a strumento, ancora più imperfetto, di politica estera. Macron propone di
«punire o proibire in Europa le aziende che ledono i nostri interessi strategici ed i nostri valori essenziali».
I campioni nazionali
Inevitabile allora il passaggio sulle regole per la concorrenza, che Macron - ora insieme alla Merkel, sembra - vorrebbe
trasformare in modo da consentire la creazione e la protezione di campioni nazionali. È sintomatico il fatto che, nel discorso
sulla concorrenza di Macron, non ci sia mai alcun riferimento ai prezzi - che sono il cuore dell’efficienza del sistema economico
- e quindi ai consumatori (o eventualmente ai contribuenti, se il discorso riguarda appalti pubblici), ma solo i grandi gruppi
che dovrebbero essere premiati con una «preferenza europea».
Il nodo del salario minimo
L’analisi potrebbe continuare a lungo, seguendo lo stesso percorso. Per esempio quando per risolvere il problema dei lavoratori
della classe media - che è il problema centrale del mondo avanzato di oggi - e dei loro salari fa accenno allo strumento,
delicatissimo, del salario minimo garantito uguale per tutti, lo stesso che ha regalato alla Francia - in assenza di una produttività
“tedesca” - una disoccupazione strutturale troppo alta.
Una visione senza alternative
Macron disegna davvero una nuova Europa; e - va detto - è l’unico a farlo. Anche perché è francese. Privata con Brexit dell’apporto
anglosassone, l’Europa ha al momento di fronte a sé, dal punto di vista della cultura politica, solo un’alternativa: l’ordoliberalismo
(che può avere una versione conservatrice e una sociale). La cultura politica italiana appare come una rete di sentieri
interrotti, alcuni molto provinciali, e sembra condannata all’afasia se non all’inconcludenza; mentre altri paesi (Olanda,
Danimarca, Svezia, Finlandia) non sono in grado di trasformarsi davvero dei modelli perché il loro sistema, per quanto ammirevole,
è in realtà difficilmente esportabile.
I limiti della Germania
La Germania, però, non riesce e forse non vuole assumere una leadership, neanche culturale; e forse non è un male, considerate
le possibili reazioni che susciterebbe il tentativo di costruire davvero un’egemonia tedesca in un contesto in cui la presenza
di un paese così grande e potente già appare ingombrante ai critici.
Il mondo-arcipelago di Macron
Macron - innegabilmente dotato di una vasta cultura politica e di una chiara visione strategica, come pochissimi in Europa
- è quindi solo, e l’assenza di alternative europeiste all’altezza della sua proposta non è certo un bene. Anche perché, come
tutti i sovranismi, anche il sovranismo europeo del presidente francese ha un limite: non è universale (e questo aspetto è
molto poco... francese). Disegna un mondo non semplicemente multicentrico - come la Francia ha sempre desiderato - ma composto
di isole (di civiltà? di sistemi culturali? di sistemi economici?) chiuse da confini più rigidi di quelli attuali. I confini
però proteggono e nello stesso tempo creano conflitti (l’area Schengen “condizionata”, per esempio, non corre il rischio di
creare nuove frizioni?). Il vecchio sistema multilaterale che questi confini ridimensionava, per quanto mal concepito e mal
applicato, per quanto tutto da correggere e da depurare dei suoi aspetti “elitari”, almeno non aveva questo limite.
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