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Il sovranismo europeo di Emmanuel Macron

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Il sovranismo europeo di Emmanuel Macron

da sinistra, il premier irlandese Leo Varadkar, Emmanuel Macron e Viktor Orban. In secondo piano Angela Merkel
da sinistra, il premier irlandese Leo Varadkar, Emmanuel Macron e Viktor Orban. In secondo piano Angela Merkel

Non si dimenticano mai davvero le proprie radici culturali; e un politico non può neanche provare a farlo. La lettera sul Rinascimento europeo che il presidente Emmanuel Macron ha voluto inviare da Parigi, in 23 lingue diverse, a tutti i cittadini dell’Unione, ha l’ambizione di costruire il concetto di una vera sovranità europea, tutta in stile francese.

I limiti del sovranismo
Souveraineté, in realtà, è parola che non compare nel testo della lettera. Giustamente: con la campagna elettorale europea ormai avviata, meglio non confondere il proprio messaggio con quello dei cosiddetti “sovranisti”. Meglio lasciare che cadano in contraddizione da soli, come è inevitabile che sia: non ci può essere strategia comune, tantomeno europea, per i sovranisti e i nazionalisti radicali, ma solo accordi tattici (come mostrano, per fare un solo esempio, gli incontri-scontri tra Salvini e Orban). L’unico riferimento di paese sovrano al concetto è polemico e tutto sommato irrilevante («Chi può permettersi di essere sovrano di fronte ai giganti del digitale?»).

Un concetto tutto francese
Souveraineté è però concetto francese, nato con Jean Bodin e sviluppato - nella sua versione democratica - dal Jean-Jacques Rousseau nel suo Contrat Social (che è un testo più di dottrina dello Stato che politico). Persino autori come Montesquieu (con la sua idea della divisione dei poteri) o Burlamaqui si sono preoccupati di limitarne la portata, non di negarne esistenza o coerenza.

L’Europa come moltiplicatore della sovranità
Il concetto di souveraineté - e la sua applicazione pratica, l’amministrazione centralista francese - attraversa però tutto il testo della lettera (e tutta la retorica europeista di Macron). Il presidente francese pensa da sempre all’Europa come a un moltiplicatore della sovranità dei singoli Stati, e predilige infatti il metodo intergovernativo; e in questo senso trasferisce all’Europa le sole competenze che non possono più essere efficacemente perseguite dai singoli partner.

Libertà e sicurezza
La logica, però, resta quella dello Stato amministrativo e centralizzato. Solo qualche esempio. La libertà e è giustamente difesa, ma con la creazione di un’Agenzia (centrale) di protezione delle democrazie, strumento centralistico e - come tutte le istituzioni a difesa della libertà - insufficiente. Nulla sul federalismo, nulla sulla imperfetta distribuzione dei poteri in Europa, nulla sulle istituzioni europee non intergovernative, di cui ha invece recentemente parlato Mario Draghi, nulla su checks and balances. Nello stesso tempo si vuole limitare la libertà di espressione bandendo «tutti i discorsi di odio e di violenza», proposito nobile di perversa applicazione.

Il mercato come strumento di politica estera
Il “liberale” Macron prende anche le distanze dal mercato, lasciando il termine - ambiguo come pochi - nel vago. «Un mercato è utile, ma non deve far dimenticare la necessità di frontiere che proteggono e di valori che uniscono», scrive Macron, con una frase che da sola può scatenare infinite discussioni. Il presidente francese pensa alla necessità di limitare la concorrenza straniera, ma non nel tentativo di creare un level playing field nei confronti di aziende tendenzialmente monopoliste, o che godono del sostegno di governi stranieri e di sistemi economici autoritari o oligarchici o, peggio, che possono svolgere ruoli politici e non strettamente economici. Piuttosto, trasformando il “commercio” tra strumento, imperfetto, di pace a strumento, ancora più imperfetto, di politica estera. Macron propone di «punire o proibire in Europa le aziende che ledono i nostri interessi strategici ed i nostri valori essenziali».

I campioni nazionali
Inevitabile allora il passaggio sulle regole per la concorrenza, che Macron - ora insieme alla Merkel, sembra - vorrebbe trasformare in modo da consentire la creazione e la protezione di campioni nazionali. È sintomatico il fatto che, nel discorso sulla concorrenza di Macron, non ci sia mai alcun riferimento ai prezzi - che sono il cuore dell’efficienza del sistema economico - e quindi ai consumatori (o eventualmente ai contribuenti, se il discorso riguarda appalti pubblici), ma solo i grandi gruppi che dovrebbero essere premiati con una «preferenza europea».

Il nodo del salario minimo
L’analisi potrebbe continuare a lungo, seguendo lo stesso percorso. Per esempio quando per risolvere il problema dei lavoratori della classe media - che è il problema centrale del mondo avanzato di oggi - e dei loro salari fa accenno allo strumento, delicatissimo, del salario minimo garantito uguale per tutti, lo stesso che ha regalato alla Francia - in assenza di una produttività “tedesca” - una disoccupazione strutturale troppo alta.

Una visione senza alternative
Macron disegna davvero una nuova Europa; e - va detto - è l’unico a farlo. Anche perché è francese. Privata con Brexit dell’apporto anglosassone, l’Europa ha al momento di fronte a sé, dal punto di vista della cultura politica, solo un’alternativa: l’ordoliberalismo (che può avere una versione conservatrice e una sociale). La cultura politica italiana appare come una rete di sentieri interrotti, alcuni molto provinciali, e sembra condannata all’afasia se non all’inconcludenza; mentre altri paesi (Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia) non sono in grado di trasformarsi davvero dei modelli perché il loro sistema, per quanto ammirevole, è in realtà difficilmente esportabile.

I limiti della Germania
La Germania, però, non riesce e forse non vuole assumere una leadership, neanche culturale; e forse non è un male, considerate le possibili reazioni che susciterebbe il tentativo di costruire davvero un’egemonia tedesca in un contesto in cui la presenza di un paese così grande e potente già appare ingombrante ai critici.

Il mondo-arcipelago di Macron
Macron - innegabilmente dotato di una vasta cultura politica e di una chiara visione strategica, come pochissimi in Europa - è quindi solo, e l’assenza di alternative europeiste all’altezza della sua proposta non è certo un bene. Anche perché, come tutti i sovranismi, anche il sovranismo europeo del presidente francese ha un limite: non è universale (e questo aspetto è molto poco... francese). Disegna un mondo non semplicemente multicentrico - come la Francia ha sempre desiderato - ma composto di isole (di civiltà? di sistemi culturali? di sistemi economici?) chiuse da confini più rigidi di quelli attuali. I confini però proteggono e nello stesso tempo creano conflitti (l’area Schengen “condizionata”, per esempio, non corre il rischio di creare nuove frizioni?). Il vecchio sistema multilaterale che questi confini ridimensionava, per quanto mal concepito e mal applicato, per quanto tutto da correggere e da depurare dei suoi aspetti “elitari”, almeno non aveva questo limite.

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