Per la crisi in Libia, mentre si consuma un conflitto a bassa intensità tra crescenti timori per migranti e petrolio, la parola è ormai passata dalle armi alla diplomazia internazionale. Le Nazioni Unite, assorbito lo smacco del fallimento della conferenza di Gadames, sono convinte con il segretario Antonio Guterres che il “miracolo” di un accordo, anche se difficile, non sia impossibile. L’Europa, sulla scorta della dichiarazione dei ministri degli Esteri del G7, ha messo a punto nelle ultime ore un testo per chiedere il cessate il fuoco e il ritiro delle forze di Haftar. Testo che l’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa europea, Federica Mogherini ha negoziato con gli Stati membri, superando alla fine, con l’aiuto dell’Italia, le forti obiezioni dei francesi molto più cauti sulle responsabilità di Haftar nell’assedio a Tripoli.
«Se la Francia avesse bloccato un’iniziativa europea per portare la Pace, se fosse vero, non starò a guardare» aveva detto il vicepremier, Matteo Salvini riaccendendo un mai sopito rancore verso Parigi. Ma tutte le iniziative diplomatiche convergono (anche se in vario modo) a fare pressione su Haftar.
L’Italia è in prima fila perché, pur riconoscendo il Governo di Tripoli, non ha mai interrotto il dialogo con il generale Haftar dalla conferenza di Palermo in poi, tanto che lunedì scorso lo stesso presidente del Consiglio ha incontrato una delegazione di Bengasi giunta a Roma in gran segreto e composta da uno dei figli di Haftar e da un alto ufficiale della Lna. Notizia confermata ieri dallo stesso Conte nella sua informativa in Parlamento. «Oggettivamente – ha spiegato Conte - siamo tra i pochi Paesi che possano credibilmente interloquire con tutti i principali attori della scena libica. In questi mesi – ha aggiunto il premier - sono stato, e sono in questi stessi giorni ed ore tuttora in contatto diretto, con i due principali attori libici, il Presidente Serraj e il Generale Haftar (con quest’ultimo nelle scorse ore ho avuto un contatto attraverso un suo emissario), così come con gli altri protagonisti del panorama politico interno».
Conte ha anche confermato che al momento la nostra Ambasciata a Tripoli resta operativa e a pieno regime e anche il personale militare italiano presente in Libia non è stato evacuato. L’obiettivo, ha insistito Conte, è «una soluzione politica, l’unica davvero sostenibile». Conte ha espresso il pieno sostegno al Segretario delle Nazioni Unite Guterres e al suo Rappresentante Speciale Salamé per riportare le parti al tavolo negoziale e riattivare il processo politico guidato dalle Nazioni Unite.
Nel frattempo crescono i timori per l’aumento degli sfollati e per possibili partenze di migranti. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha) i pesanti scontri a fuoco e il bombardamento di artiglieria nelle zone residenziali di Ain Zara e Khalla al-Forjan si sono tradotti in «un’impennata degli sfollati a Tripoli e dintorni, raddoppiati nelle ultime 48 ore a oltre 6.000 persone». Finora la Guardia costiera (che ha ottenuto il gasolio dal Governo) continua a fare il suo dovere recuperando alcuni barconi ma tra i circa 700mila migranti in sosta forzata in Libia cresce la tensione.
L’attacco di Haftar ha ridotto le occasioni di lavoro per cui c’è chi decide di tornare a casa e chi ha soldi sufficienti per tentare il viaggio, con tutti i rischi connessi. Per quanto riguarda gli approvvigionamenti energetici nonostante i toni rassicuranti finora utilizzati dall’Eni il presidente della Noc, l’ente petrolifero libico Mustafa Sanalla, (che Haftar vorrebbe licenziare quanto prima) ha messo in guardia sul rischio che l’industria energetica del Paese si possa trovare in una situazione anche più pesante rispetto al grave calo della produzione registratosi 2011 quando Gheddafi fui destituito.
Si stanno muovendo anche le altre diplomazie. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha avuto ieri una conversazione telefonica con il presidente libico Fayez al-Sarraj. Non c’è invece conferma ufficiale di un viaggio dello stesso Haftar ieri a Mosca dove nei giorni scorsi aveva fatto tappa anche un alto esponente dei Fratelli musulmani che sostengono Serraj. Un attivismo di Mosca che potrebbe indurre gli americani a mantenere i riflettori accesi sulla crisi libica senza voltarsi dall’altra parte. A meno di non spianare volutamente la strada all’ingresso della Russia nel Mediterraneo (dopo la Siria anche la Libia) come grande potenza di pacificazione e stabilizzazione.
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