Il Regno Unito parteciperà alle elezioni europee del 23-26 maggio. Lo scenario, sempre più probabile, è stato confermato da David Lidington, ministro del Gabinetto e vice di fatto della premier Theresa May. Le ultime speranze di evitare il voto per l’Eurocamera erano appese ai round di negoziati fra May e il leader dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn, ma ormai è dato per certo che i negoziati scavalcheranno il 22 maggio: la scadenza ultima fissata da Bruxelles per scongiurare le urne Ue a quasi tre anni dal referendum del giugno 2016. Una circostanza che obbliga Londra a prendere parte alle elezioni, con l’effetto di stravolgere gli equilibri che si erano venuti annunciando per il dopo-voto. Dal punto di vista procedurale, il totale degli eurodeputati tornerà al suo numero
EUROPEE 2019 - IL DOSSIER DE IL SOLE 24 ORE
originario: 751, dopo essere stati tagliati a 705 nell’attesa (mancata) di una Brexit entro il maggio 2019. Questo obbliga il Parlamento a riconteggiare i seggi aggiuntivi che erano stati assegnati ad altri paesi europei, visto che lo scenario-Brexit prevedeva che i 73 scranni del Regno Unito fossero in parte rimossi (46 seggi) e in parte (27 seggi) ridistribuiti ad altri paesi, inclusa l’Italia. Gli eurodeputati che sarebbero stati eletti al posto dei colleghi britannici resteranno in stand by fino alla data di uscita dell’Isola dalla Ue, in teoria fissata entro il 31 ottobre del 2019 dopo la nuova proroga concessa da Bruxelles. Ma la vera scossa è attesa dal punto di vista politico.
Un terremoto politico in arrivo?
Ora il nuovo termine per ottenere il via libera della Camera dei Comuni slitta al 2 luglio, almeno secondo quello che «spera»
Lidington. La data non è casuale, perché coinciderebbe con l’insediamento del nuovo parlamento europeo in occasione delle
plenaria inaugurale che si terrà Strasburgo. L’auspicio di Lidington è che «gli eurodeputati non debbano mai prendere il proprio
seggio all’Eurocamera, per poi finire entro l’estate». Dal punto di vista procedurale, la ricomparsa del Regno Unito complica
la situazione fino a un certo punto: i parlamentari che sarebbero stati eletti senza i candidati britannici aspetteranno l’uscita
di Londra dalla Ue, per poi insediarsi nei propri 27 seggi al posto dei colleghi dell’Isola. Sono gli equilibri fra gruppi
politici che rischiano di subire le conseguenze più pesanti, sia nel Regno Unito che nell’Eurocamera. Il timore diffuso è
di una crescita robusta del Brexit Party, il partito euroscettico capeggiato da Nigel Farage: l’ex leader del partito nazionalista
Uk Independence Party, considerato uno fra i capostipiti del divorzio dalla Ue. Ma in realtà le conseguenze più tangibili
sembrano essere altre. A Londra il voto potrebbe tradursi semmai in una batosta notevole per i Conservatori, riducendo il
divario con l’opposizione laburista e favorendo l’appello per un voto nazionale: «Se il Labour tiene - spiega Carlo Altomonte,
associato di Politica economica europea - aumenterebbe la pulsione per un nuovo voto, e questo influirebbe anche sulla Brexit.
Il Brexit party di Farage? Non dimentichiamoci che le Europee non sono le nazionali: il suo precedente partito, lo Ukip, guadagno
il 13% nel 2014 a Bruxelles, per poi conquistare un unico deputato a Londra nel 2015».
Le conseguenze sull’Europarlamento (e la Bce)
Anche all’Eurocamera, secondo Altomonte, la ricomparsa della Brexit potrebbe essere più decisiva per i Socialisti che per
l’ultradestra. È vero che un buon risultato del Brexit party, proiettato dai sondaggi addirittura al 27%, porterebbe in dote
ai sovranisti una nuova pattuglia di deputati. Ma da qui ad avvalorare lo scenario «catastrofista» di una maggioranza di destra
radicale, il passo è davvero lungo. La somma fra i voti dell’alleanza lanciata da Salvini e dagli eventuali Brexiteer resterebbe
sotto ai 100 seggi, un settimo di un’Eurocamera dove Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi insieme ne arriverebbero a contare
oltre 450. La partita più interessante può giocarsi invece proprio fra i partiti di maggioranza, con un effetto domino su
due delle tre nomine di peso attese dopo le elezioni: quelle di presidente della Commissione e presidente della Bce (la terza
è quella di presidente del Consiglio europeo). Gli equilibri attuali prevedono che la Commissione vada a un tedesco, come
lo spitzenkandidat del Ppe Manfred Weber, mentre la prsidenza della Bce a un francese: fra i papabili François Villeroy de
Galhau, attuale governatore della Banca di Francia.
Attualmente, fa notare Altomonte, tutto marcia in questa direzione. La maggioranza dell’Eurocamera viene proiettata a favore dei Popolari, sia pure con un calo da 217 a 180 seggi. «Quindi - spiega - la conseguenza sarebbe che la poltrona di presidente della Commissione, assegnata in genere al candidato del partito con più voti, andrebbe al tedesco Manfred Weber, mentre alla Bce potrebbe essere eletto un candidato francese». La ricomparsa del «fattore Brexit», però, cambia le carte in tavola. L’afflusso dei laburisti all’Eurocamera può far aumentare i consensi al Partito dei socialisti e democratici, ridando margine a un’ambizione del loro candidato, l’olandese Frans Timmermans: aggregare una maggioranza di sinistra alternativa a quella patteggiata con Popolari e Liberali per frenare l’ascesa dei sovranisti. In questa ottica la poltrona di presidente della Commissione andrebbe a lui o, più verosimilmente, a un candidato di compromesso, come il francese Barnier: il caponegoziatore della Brexit, giudicato come una figura papabile nel «dietro le quinte» delle elezioni. Il risultato sarebbe comunque di spingere la Germania a chiedere un candidato tedesco o nordeuropeo per la successione a Mario Draghi: «E in questo caso la situazione si complicherebbe per l’Italia - dice Altomonte - Non è necesssrio che sia necessariamente una figura come Weidmann (Jens, l’attuale presidente di Deutsche Bank, ndr) ma comunque un candidato “falco”, magari dalla Scandinavia».
May sempre più sotto pressione
Comunque vada, la partecipazione alle Europee non fa altro che aumentare la pressione sulle leadership di Theresa May. La
premier ha dichiarato, tramite un suo portavoce, di essere «dispiaciuta» per l’esito nullo delle trattative e le beffa di
un voto per l’Eurocamera del 2019-2024. L’intenzione è di andare avanti con le trattative, cercando di sbloccare un’impasse
che si trascina da mesi. La Camera dei Comuni ha già respinto tre volte il suo patto con la Ue, contestato soprattutto per
gli accordi sui confini irlandesi. Ora fra alcuni sostenitori della Brexit, secondo quanto scrive il britannico Guardian,
si fa strada l’ipotesi di chiedere un seconda consultazione popolare sul divorzio dalla Ue. Nell’attesa il voto di fine mese
sarà l’equivalente di un referendum, anche se soprattutto su May.
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