Cosa potrebbe succedere in Italia se di qui al 2030 le auto in circolazione fossero tutte elettriche? Trentasette milioni
di veicoli affamati di ricarica, magari durante le festività natalizie di un inverno rigido e con i consumi energetici a livelli
record.
Fantascienza, cosiderato che oggi la quota di auto elettriche sul totale è intorno allo 0,4%. Salire al 100% del mercato vorrebbe
dire immatricolare qualcosa come 3 milioni di veicoli elettrici ogni anno per i prossimi 12 anni.
Un po’ troppo, anche guardando l’accelerazione che il settore sta vivendo: la definitiva morte dei motori diesel – oggi descritti dalla narrazione imperante come il demonio – e le misure sempre più restrittive varate da Paesi o singole metropoli: dopo Parigi e Berlino (per restare in Europa) anche Milano e Roma, le regioni del Nord Italia e il Lazio hanno annunciato pesanti restrizioni in città ai mezzi con motore a gasolio. Inoltre ora si registrano sempre più annunci di investimenti giganteschi da parte dei grandi gruppi mondiali, a partire da Volkswagen.
Tuttavia, nonostante la spinta generale verso una mobilità green, restano parecchi ostacoli a una crescita esponenziale delle vetture elettriche. Costi elevati, autonomia mediamente limitata,
infrastrutture per la ricarica ancora scarse, assenza o quasi di incentivi. E non mancano neppure effetti “collaterali”, come
il calo del mercato delle vetture a gasolio negli ultimi mesi o la clamorosa protesta dei “gilet gialli” in corso in Francia, contro la politica del governo volta spingere le vetture elettriche e a penalizzare quelle tradizionali anche (in parte)
con l’aumento del costo dei carburanti con una sorta di “ecotassa”.
Il futuro del settore, tra scenari realistici ed estremi, è stato analizzato dall’E-Mobility Report 2018, alla sua seconda edizione e primo lavoro presentato da Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano.
Dei tre scenari presi in considerazione nessuno prevede una situazione critica a livello di consumi energetici, anche perché
i numeri sono comunque bassi: in quello con la crescita maggiore, si prevedono al 2030 circa 5 milioni di auto elettriche
(Bev), dato che sale a circa 7,5 milioni conteggiando anche le ibride. «Ma anche immaginando uno scenario estremo, con oltre
30 milioni di veicoli elettrici in circolazione, l’impatto sui consumi è tutto sommato assorbibile» spiega Davide Chiaroni, vicedirettore e co-fondatore del gruppo Energy & strategy del Politecnicodi Milano. «Con la sostituzione totale delle auto
il fabbisogno di energia crescerebbe infatti del 16%: un dato importante ma assorbibile» dice Chiaroni. Il vero problema arriverebbe
dal picco di domanda che potrebbe crearsi. «Continuando nello scenario estremo e immaginando che lo 0,5% dei veicoli si connetta
contemporaneamente a una presa di ricarica veloce – sottolinea Chiaroni – la potenza impegnata sarebbe pari a 18,5 GW, equivalente
al 33% della potenza massima impegnata in questi anni». In pratica, il rischio sarebbe quello di incappare nella situazione
che si crea a casa quando mettiamo in funzione contemporaneamente forno, lavatrice e lavastoviglie: causare un “distacco”
o, meglio, un black out.
Come detto, quello analizzato dal gruppo Energy & Strategy del Politecnico di Milano è uno scenario estremo, difficilmente
realizzabile ma utile per immaginare accorgimenti utili e contromisure.
Potrebbe servire più potenza disponibile? Paradossalmente, serviranno nuove centrali elettriche? In questo caso, va ricordato
«che la potenza deve essere disponibile quando l’utenza la richiede – precisa Davide Chiaroni – quindi più che a nuove centrali
occorre pensare a efficienti sistemi di storage». Tradotto, sistemi di accumulazione di energia, in grado di rilasciarla alla
bisogna.
È d’accordo Gian Piero Celata, direttore dipartimento tecnologie energetiche dell’Enea. «Se si immagina uno sviluppo sempre più elettrico della mobilità, bisogna strutturare il paese per garantire ricariche rapide,
al massimo di qualche minuto. Un tempo paragonabile a quelo necessario per un pieno di carburante tradizionale, con l’aggiunta
di un cappuccino e una brioches al bar». Impensabile che un utente possa aspettare ore, al massimo 10-15 minuti.
«Per ricaricare un’auto elettrica in un tempo simile servono potenze nell’ordine dei megawatt. Occorre immaginare grandi accumulatori
che alimentino le colonnine, un po’ come avviene oggi con le cisterne nel sottosuolo delle stazioni di servizio, dove vengono
stoccati i carburanti tradizionali» dice Celata.
E anche così, probabilmente il sistema basterebbe a consentire dei “rabbocchi” non un vero pieno di energia. Insomma, i problemi tecnici oggi sono ancora enormi. E le variabili tantissime: «Se la sostituzione del parco auto avviene gradualmente – considera Chiaroni – c’è il tempo di adeguare la rete infrastrutturale, potenziando i nodi più critici, tipo Roma, Milano o altre grandi città. Servono investimenti significativi per adeguarla a supportare un traffico tutto elettrico». E Gian Piero Celata fa notare altri potenziali problemi pratici: «Solo auto elettriche? Dove metteremmo le colonnine necessarie nei condomini? E questo solo per fare un esempio. Inoltre, abbiamo presente quanto si scalda uno smartphone mentre si ricarica? immaginiamo gli effetti su batterie molto più grandi come quelle dei veicoli... Nei prossimi anni – sostiene lo scienziato dell’Enea – è probabile che prendano piede soprattutto le auto ibride». Una sorta di compromesso, insomma, per spostarsi a emissioni zero in ambito urbano ma con la possibilità di contare su un motore a combustione per tragitti più lunghi o in caso di emergenza.
Tuttavia l’intera filiera si sta muovendo, con un effetto “palla di neve”: Enel sta ampliando sempre più il numero di colonnine di ricarica, crescono i territori che mettono al bando i vecchi diesel e, dall’estero, il gruppo Volkswagen, oltre a investire 44 miliardi nel settore, annuncia anche modelli elettrici “low cost”... Insomma, non ci sono solo aspetti critici, come auspica Chiaroni: «Se tutta la tecnologia converge in un’unica direzione avremo meno auto rispetto a oggi, batterie meno ingombranti e più efficienti quindi con maggiore autonomia e, di conseguenza, meno energia necessaria, il che escluderà il paradosso di avere bisogno di più centrali o maggior consumo di carbone».
Un’altra variabile non indifferente riguarda lo sviluppo del servizio pubblico elettrico: oggi si contano un migliaio di autobus
elettrici a Torino, circa 500 a Milano (che ha un ambizioso piano di sviluppo) e poche decine di altri nel resto delle città
principali. Enea ha lavorato «sui sistemi di ricarica rapida per il trasporto pubblico, tra una fermata e l’altra. L’abbiamo
provato nello smart ring all’Aquila e funziona» racconta Gian Piero Celata. Il sistema – insieme ad altri progetti ambientali
innovativi – è stato presentato all’edizione di Ecomondo che si è svolta a Rimini a inizio novembre: si chiama “Flash charge” e si basa sull’utilizzo congiunto a bordo dei bus e alle fermate, di supercapacitori, dispositivi dalle eccezionali caratteristiche
elettriche, in grado di fornire elevate potenze in brevi periodi. «Ma come sempre, anche per questo settore, servono anche
decisioni politiche» commenta Celata.
@andreafin8
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© Riproduzione riservata