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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2011 alle ore 13:02.
In questi giorni si sono susseguite le voci di una sanatoria fiscale da inserire nell'ambito della manovra di Ferragosto. E se anche ieri il sottosegretario all'Economia, Luigi Casero, ha smentito ogni possibile intervento sul condono, l'argomento resta aperto. Del resto anche la precedente tornata condonistica era stata preceduta da solenni e irremovibili smentite. La situazione, però, da allora non è rimasta immutata e la via del condono sembra sempre più ardua da percorrere. Da un lato, infatti, c'è l'ostacolo della giurisprudenza della Corte di giustizia Ue su misure di questo tipo; dall'altro, però, ci sono anche i risultati del precedente condono, che per quanto emerge anche dagli ultimi dati della Corte dei conti, hanno dato un gettito molto ridotto rispetto a quanto avrebbe dovuto comportare la manovra di sanatoria.
La Corte dei conti con una relazione del 2008 aveva segnalato che «5,2 miliardi dei 26 dichiarati come dovuti dagli aderenti al condono non erano poi stati versati, neppure dopo l'iscrizione a ruolo e la notifica delle relative cartelle di pagamento». Un aggiornamento fatto a giugno di questo studio segnalava come il carico netto ancora da riscuotere era di 4,2 milardi con un riscosso rispetto a quanto si sarebbe dovuto, nel frattempo, incassare del 17,8 per cento.
Non bisogna poi dimenticare il contenzioso da condono, sorto all'indomani di tutte le santorie nei casi in cui tra i contribuenti e l'amministrazione finanziaria erano sorti contrasti, generalmente per dinieghi opposti dall'amministrazione all'utilizzabilità delle norme sul condono.
Il vero nodo, però, per un'eventuale introduzione dei condoni resta quello dell'Iva. La Corte di Giustizia Ue (pronuncia 17 luglio 2008, C-132/06) ha dichiarato incompatibili con il diritto comunitario le disposizioni sull'integrativa semplice e sul condono tombale del 2002 in materia di Iva e a questo principio si sono poi uniformate varie sentenze della Corte di cassazione italiana. La giurisprudenza di legittimità italiana, peraltro (si veda, ad esempio, Cassazione 18 settembre 2009, n. 20068), ha rilevato che le conclusioni della Corte di Giustizia europea devono valere anche per forme di condono diverse dal "tombale" (articolo 9 della legge 289/2002) e dall'integrativa semplice (articolo 8 della L. 289/2002). È stato ritenuto, infatti, che anche la definizione delle liti pendenti dell'articolo 16 della legge 289/2002 determina «una rinuncia dell'amministrazione finanziaria, attraverso una misura generale limitata nel tempo, all'accertamento, rimesso al giudice tributario, sulla pretesa fiscale e alla conseguente riscossione dell'imposta».
Questo in ossequio ai principi stabiliti dalla Corte di Giustizia Ue, la quale ha qualificato «la misura del condono come una rinuncia generale ed indiscriminata al potere di verifica e rettifica da parte dell'amministrazione finanziaria». In sostanza, il condono fiscale risulta – secondo la Corte europea – incompatibile con il diritto comunitario, in quanto nessun Paese dell'Unione europea può rinunciare in linea generale e astratta al suo potere di imposizione, indipendentemente dai vantaggi o dagli svantaggi connessi a tale rinuncia: ne risulterebbe alterato il principio di neutralità fiscale. Peraltro, la Corte di Giustizia ha avuto modo di rilevare che anche solo un'aspettativa dei condoni potrebbe far sì che i contribuenti non si attengano ai loro doveri fiscali. Solo il fatto che venga ventilata l'ipotesi di un condono non va certo a favore della lotta all'evasione, pure sempre più invocata. E un'aspettativa in questo senso potrebbe essere, peraltro, favorita anche dalle ricorrenze numerologiche. I più importanti condoni fiscali sono stati emanati a circa un decennio di distanza. L'ultimo è stato quello del 2002: prima vi è stato quello del 1991, e prima ancora il condono venne previsto nel 1982. Nel 2011 la politica potrebbe ritenere i tempi maturi.
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