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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2014 alle ore 11:16.
L'ultima modifica è del 17 luglio 2014 alle ore 16:56.

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I laureati in giurisprudenza in Italia che abbiano acquisito il titolo di "abogado" in Spagna, usando un sistema facilitato di accesso alla professione rispetto a quel che accade in Italia, possono svolgere l'attività di avvocato in Italia o in qualsiasi altro Stato membro a patto che facciano uso del titolo professionale acquisito che "deve essere indicato nella lingua ufficiale dello Stato membro di origine". Quindi l'avvocato italiano che sia diventato "abogados" in Spagna può esercitare la professione in Italia utilizzando, però, il titolo di "abogados" e non quello di "avvocato".

Lo ha chiarito oggi la Corte di giustizia dell'Unione europea che ha deciso sulle cause riunite C-58/2013 e C-59/2013. Infatti, come spiega la Corte, la direttiva sullo stabilimento degli avvocati (98/5/Ce) ha lo scopo di facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato (come libero professionista o come lavoratore subordinato) in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale; la professione può tuttavia essere esercitata solamente con il titolo professionale di origine. Tale direttiva prevede che l'autorità competente dello Stato membro in cui l'avvocato si stabilisce proceda alla sua iscrizione su presentazione del documento attestante l'iscrizione di questi presso l'autorità competente dello Stato membro in cui ha ottenuto il titolo.

Ad avviare la controversia due laureati in giurisprudenza in Italia che, avendo ottenuto la laurea e poi il titolo professionale anche in Spagna, avevano chiesto di potersi iscrivere alla sezione speciale dell'Albo degli avvocati di Macerata. Visto il silenzio dell'Ordine di Macerata i due abogados si sono rivolti al Consiglio nazionale forense a parere del quale Angelo Alberto e Pierfrancesco Torresi non potevano avvalersi della direttiva sullo stabilimento degli avvocati dal momento che l'acquisizione del titolo in Spagna aveva il solo scopo di eludere la normativa italiana sull'accesso alla professione e costituisce pertanto un abuso del diritto di stabilimento. Il Cnf aveva quindi chiesto alla Corte di giustizia se le autorità competenti di uno Stato membro possano rifiutare, a motivo di un abuso del diritto, l'iscrizione nell'albo degli avvocati dei cittadini di tale Stato che, dopo aver conseguito una laurea nel proprio paese, si siano recati in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e abbiano in seguito fatto ritorno al primo Stato membro per esercitarvi la professione con il titolo professionale ottenuto nel secondo Stato.

La Corte ora risponde confermando il "mutuo riconoscimento dei titoli" in un mercato unico, la possibilità, per i cittadini dell'Unione, di scegliere lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo e quello in cui hanno intenzione di esercitare la loro professione è inerente all'esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati.
Il fatto che il cittadino di uno Stato membro, in possesso di una laurea conseguita nel proprio paese, si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi il titolo di avvocato e faccia in seguito ritorno nel proprio paese per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nell'altro Stato membro è la concretizzazione di uno degli obiettivi della direttiva e non costituisce un abuso del diritto di stabilimento. A patto, però, che ciascuno usi i titoli che ha nella lingua originale. Quindi, in Italia, il titolo spagnolo vale ma il professionista sarà "abogados" e non "avvocato".

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