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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 19 ottobre 2014 alle ore 14:56.

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Tra gli interventi più pubblicizzati contenuti nel disegno di legge di stabilità 2015 c'è la monetizzazione, in via sperimentale, delle quote di Tfr maturate nel periodo marzo 2015-giugno 2018. La legge richiede una scelta volontaria del lavoratore che, una volta esercitata, non consentirà di fare marcia indietro per tutto il periodo.
Aumenteranno gli adempimenti per i datori di lavoro e i consulenti, che dovranno farsi carico della gestione delle scelte, anche se non esiste un obbligo di informativa. Inoltre, i datori di lavoro, che occupano sino a 49 dipendenti e che non vorranno erogare l'integrazione, dovranno gestire una serie di pratiche con il sistema bancario per ottenere un'anticipazione. Questa procedura comporta l'obbligo di procurarsi una certificazione del Tfr rilasciata dall'Inps.

La monetizzazione potrà riguardare anche i dipendenti che attualmente destinano (o che potrebbero farlo) il Tfr a previdenza complementare. Questa scelta impatta negativamente sulla costruzione della seconda pensione che sembrava essere (al varo del Dlgs 252/05) un'esigenza primaria, dopo la presa di coscienza del generale abbassamento dei livelli delle rendite pensionistiche. Il legislatore dell'epoca era talmente preoccupato di tale situazione da prevedere l'irrevocabilità della scelta per i fondi pensione e il meccanismo del silenzio assenso. Il protagonista principale della riforma è stato proprio il Tfr che, anche da solo, sembrava rappresentare la soluzione alle annunciate carenze del sistema pensionistico.

Ora tutto cambia e il versamento del Tfr ai fondi si può interrompere (fino a 40 mesi) anche se lo scenario previdenziale non appare diverso. Secondo alcuni è la volontarietà della scelta a fare la differenza. Resta da capire se un'opzione forzata da oggettive difficoltà economiche e calata in un contesto caratterizzato da retribuzioni a volte insufficienti sia veramente una scelta libera e consapevole.

La monetizzazione del Tfr verrà tassata con le modalità ordinarie e non con la tassazione separata (in genere più conveniente). Ne deriva che il lavoratore, probabilmente spinto dalla necessità di aumentare il suo netto in busta, sarà indotto a chiedere l'integrazione che, tuttavia, gli costerà un maggior esborso di Irpef. Inoltre l'integrazione confluisce nell'imponibile fiscale ordinario da cui potrebbe derivare una possibile riduzione delle detrazioni Irpef per lavoro dipendente e per carichi familiari (il Tfr viene invece sterilizzato ai fini dell'accesso al bonus 80 euro).
Sembrerebbe che il provvedimento fondi le sue radici su logiche di cassa: il prelievo fiscale immediato e più salato sulle quote di Tfr monetizzate garantirebbe all'Erario un immediato aumento dell'Irpef nonché un auspicato aumento del gettito Iva laddove i consumi registrino un incremento. Non è detto, tuttavia, che i risultati siano pari alle attese. Scelte ponderate da parte degli interessati potrebbero portare esiti diversi.
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