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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2014 alle ore 08:16.
Il Fisco può provare l'esistenza di una frode fiscale anche mediante presunzioni/elementi indiziari con conseguente inversione dell'onere della prova a carico del contribuente. E' quanto stabilito dai giudici della Commissione Tributaria Provinciale di Milano con la sentenza n. 7171/42/14 depositata il 31 luglio scorso .
Il caso. Nel caso esaminato una società aveva impugnato un atto di accertamento col quale era stata contestata l'inesistenza soggettiva di operazioni imponibili, con indebita detrazione dell'IVA. In sintesi, nell'operazione contestata dall'Ufficio, la società A aveva venduto un pacchetto di software alla società B (la ricorrente nel caso in esame) che, a sua volta, li aveva rivenduti alla società C (altra ricorrente) che li aveva infine “girati” ad una società straniera (D).
Secondo l'Ufficio B e C si sarebbero meramente interposte tra il primo venditore e l'ultimo acquirente per generare crediti iva senza mai versare l'IVA a debito da parte della società A (nell'assunto che la vendita effettiva fosse per l'appunto avvenuta tra il primo venditore A e l'ultimo acquirente D). La società ricorrente, impugnando l'atto di accertamento, aveva in particolare eccepito che l'Ufficio non avesse provato l'esistenza di una frode ma che si fosse basato solo su presunzioni.
La decisione. La Commissione ha respinto i ricorsi affermando in particolare che l'Ufficio può provare, anche mediante presunzioni, che il soggetto passivo poteva sapere (o sapeva) della descritta frode. In particolare, nel caso in esame, secondo i giudici gli elementi indiziari che deponevano a favore della tesi dell'Ufficio, erano ad esempio (i) la mancata documentazione completa delle operazioni verificate, (ii) l'irregolarità delle note di credito emesse dalla ricorrente (iii) l'antieconomicità della vendita da parte di B a C (ad un prezzo quasi pari a quello di acquisto) (iv) la mancata prova della consegna dei beni e del loro pagamento (v) la sostanziale inutilità del passaggio della fornitura dei pacchetti da B a C (vi) l'inconsistenza della struttura aziendale delle ricorrenti priva di una rete di vendita e struttura commerciale.
In sostanza, i giudici hanno ritenuto che l'Ufficio avesse provato la frode perpetrata dalle ricorrenti, con conseguente inversione dell'onere della prova a loro carico, quanto all'esistenza oggettiva e soggettiva delle operazioni verificate o alla propria buona fede circa il carattere fraudolento delle operazioni (vedi tra l'altro sul punto le sentenze della Corte di Cassazione del 22 maggio 2013, n. 12503, 12504, 12505).
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