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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2014 alle ore 17:47.
L'ultima modifica è del 26 novembre 2014 alle ore 19:58.

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Il «caffettometro» non basta al fisco per provare che il ristorante ha omesso di dichiarare redditi. La ricostruzione operata dall’agenzia delle Entrate sui consumi di caffé non ha valore indiziario di gravità e precisione tale da dimostrare la fondatezza dell’accertamento. È quanto emerge dalla sentenza 25093/2014 della Cassazione.

I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso presentato dall’amministrazione finanziaria contro le sentenze con cui la Ctr Toscana aveva annullato le rettifiche emesse nei confronti di una Snc e delle due soci. In particolare, il collegio di secondo grado ha bocciato la linea seguita dal fisco secondo cui «6-7 grammi di caffé è la quantità generalmente utilizzata per ottenere una tazza di caffé». In pratica dalla mancata corrispondenza tra il caffé utilizzato e i ricavi dichiarati l’agenzia delle Entrate aveva ricacolato i ricavi della società per l’anno d’imposta 2003 sia per quanto riguarda l’Irap che l’Iva.

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