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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2014 alle ore 07:06.

Il già sterminato libro delle battaglie legali sui contratti precari della scuola si è arricchito del capitolo fondamentale: la sentenza della Corte di giustizia Ue che boccia i rinnovi a ripetizione degli incarichi per coprire i posti «vacanti e disponibili». «Non si può», spiegano i giudici lussemburghesi, perché l'accordo quadro del 1999 sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/Ce, impone agli Stati membri di rinnovare i contratti a termine solo indicando appunto «ragioni obiettive» esplicite oppure fissando in anticipo la durata massima totale dei contratti o del numero dei rinnovi.
L'accordo si applica a tutti i settori, pubblici e privati, e per essere efficace ha bisogno di sanzioni anti-abusi che siano «proporzionate, effettive e dissuasive». Niente di tutto questo è previsto nell'ordinamento italiano.
La sentenza si concentra sui posti del tutto privi di titolare, mentre permette i rinnovi quando il titolare è in congedo (per maternità, malattia, ragioni sindacali eccetera), e quindi dovrebbe riguardare circa 35mila posti. I sindacati, però, rilanciano sulla «stabilizzazione di 250mila precari» ed evocano «rimborsi per 2 miliardi di euro».
I primi effetti della sentenza saranno la ripartenza del contenzioso già in atto, perché a tradurre in decisioni le indicazioni europee dovranno essere i giudici di merito, mentre la Consulta è chiamata a decidere quali sono le regole da cancellare dal nostro ordinamento: ma, numeri alla mano, è più che probabile anche una nuova ondata di ricorsi.
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