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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2014 alle ore 13:53.

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L'iscrizione all'Aire non è un elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorchè il soggetto abbia nel territorio la residenza (intesa quale abituale e volontaria dimora) ovvero il domicilio (inteso come sede principale degli interessi ed interessi economici. E' quanto hanno affermato i giudici della Ctr Lombardia con la sentenza n. 4515 del 10 settembre scorso .

Il caso. Nel caso sottoposto all'esame dei giudici, un contribuente aveva contestato un atto di accertamento eccependo (tra l'altro) di essere fiscalmente residente in Cina. I giudici della Ctp di Milano avevano respinto il ricorso sostenendo, tra l'altro, che fosse insufficiente, ai fini della residenza fiscale in Cina, l'iscrizione all'Aire.

Il contribuente aveva cosi presentato appello. La decisione. I giudici della Ctr hanno respinto l'appello, precisando che l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero (c.d. Aire) non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato la residenza (intesa quale abituale e volontaria dimora) ovvero il domicilio (inteso come sede principale degli affari ed interessi anche economici, nonché delle proprie relazioni personali). A detta dei giudici, nel caso esaminato il ricorrente, secondo quanto emergeva dagli elementi indicati nell'atto di accertamento, avrebbe mantenuto in Italia il “centro” dei suoi interessi, nonché un legame effettivo e non provvisorio.

Nel caso in esame peraltro non sussistevano elementi che comprovassero il trasferimento del centro dei suoi interessi all'estero (nella Repubblica Popolare Cinese), dal momento che non risultava fornita la prova né della sussistenza di una dimora abituale, sia personale sia del nucleo familiare in detto paese (mediante ad esempio la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali etc) né dello svolgimento di rapporti lavorativi o dell'esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità. Infatti i visti sul passaporto ed il permesso di lavoro in Cina – hanno precisato i giudici - non sono sufficienti ad attestare l'effettiva permanenza nel paese estero del ricorrente e della sua famiglia.

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