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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2014 alle ore 09:54.
L'ultima modifica è del 04 dicembre 2014 alle ore 10:32.

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La legge sul rientro dei capitali scollina il penultimo ostacolo parlamentare e da questa mattina è al vaglio dell'Aula del Senato per l'ultimo, decisivo voto. Se i senatori oggi seguiranno le indicazioni della maggioranza - e, dietro le quinte, la moral suasion del Governo - il provvedimento sulla voluntary disclosure entrerà in vigore in tempi molto stretti - quelli necessari al passaggio agli uffici legislativi e poi alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale - e nei paletti già approvati dalla Camera lo scorso mese di ottobre. Saranno pertanto sanabili tutte le violazioni sulla (mancata) dichiarazione di disponibilità finanziarie sia estere (come recita l'incipit del provvedimento) ma anche di risorse mai espatriate (per esempio, cassette di sicurezza) ma ugualmente mai presentate al Fisco.

Le tensioni sul testo bloccato («non emendabile nè modificabile» per evitare una navetta con la Camera che necessariamente sarebbe sconfinata nel 2015) si sono comunque trascinate fino alla tardissima serata di ieri, con l'annunciata battaglia nella seduta delle Commissioni congiunte Giustizia e Finanze. Al centro del confronto è rimasta la formulazione (quando non la presenza stessa) del reato di autoriciclaggio nel disegno di legge, reato destinato ad accompagnare la voluntary disclosure - di cui rappresenta l'”argomento forte” per convincere i candidati alla regolarizzazione - ma a rimanere poi cristallizzato nel Codice penale, all'articolo 648-ter-1.

Martedì anche tre senatori del Pd, tra cui l'ex pm di Venezia Felice Casson, avevano rotto il fronte della maggioranza, presentando una formulazione alternativa all'attuale, che è di chiaro compromesso politico. Casson, in particolare, sostiene la necessità di armonizzare l'autoriciclaggio con il riciclaggio anche sotto il profilo sanzionatorio e anche per consentire l'utilizzo delle intercettazioni pure per l'ipotesi oggi disegnata come «lieve».

Ma a difesa del nuovo 648-ter-1 del Codice si è dichiarato anche il secondo relatore al provvedimento, Nico D'Ascola (Ncd) - l'altro è il Pd Claudio Moscardelli - che ha spiegato la ratio della difficile scelta.
Da un lato si sarebbe potuto «enucleare un catalogo chiuso e limitato di reati “a monte”», soluzione che però «avrebbe implicato il rischio dell'incompletezza , con la necessità di doverla successivamente ampliare volta per volta». La seconda strada invece, scelta nel disegno di legge, è la previsione di una categoria aperta di delitti “a monte”, tutti i «non colposi», per «una maggiore aderenza alla estrema variabilità e complessità dell'esperienza giuridica concreta».

Inoltre, ha spiegato D'Ascola, sono stati «chiaramente esclusi gli atti di mero godimento e disposizione» da parte dell'autore del delitto presupposto - già punito con l'incriminazione per quest'ultimo reato - e limitando la punibilità solo ai comportamenti che determinino un “quid pluris” rispetto al puro e semplice utilizzo personale. In altre parole, il nuovo articolo 648-ter.1, ha chiosato il relatore nell'illustrazione ai colleghi commissari, «determinerà la punibilità esclusivamente di condotte volte al reimpiego del provento illecito in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative con modalità concretamente “frappositive” ed idonee a recare ostacolo all'identificazione del provento illecito».

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