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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2014 alle ore 06:39.

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«A.A.A. cercasi Iva disperatamente». Il gap medio della base imponibileIva negli anni 2007-2010 è di poco superiore a 231 miliardi di euro. Il 77% della base imponibile mancante (177 miliardi) si può “intestare” ai consumi finali delle famiglie e il restante 23% (54 miliardi) ai consumi finali delle imprese. Se poi si prova a scattare un’istantanea su dove si evade di più la fotografia mette in primo piano le regioni del Sud Italia (isole comprese) dove, in media, l’evasione Iva vale circa 83 miliardi. A descrivere il fenomeno del gap di base imponibile Iva in Italia, ovvero del rapporto tra la differenza di base imponibile e quella teorica (cioè l’imponibile Iva che si avrebbe in assenza di evasione), è il nuovo working paper «Argomenti di discussione». Il secondo studio della pubblicazione scientifica diffusa ieri online dall’agenzia delle Entrate, oltre a porre l’accento sui consumi finali, evidenzia le caratteristiche che possono influenzare la distribuzione territoriale del gap Iva.

I tre estensori (Elena D’Agosto, Massimiliano Marigliani e Stefano Pisani) evidenziano come il gap Iva sia «positivamente correlato con le condizioni economiche, il ciclo economico e la tax moral dell’area geografica». La propensione all’evasione, dunque, si concentra nel meridione e in particolare in 6 regioni su 8 è superiore al 32 per cento. Sempre in queste regioni le spinte a fuggire dall’Iva sono molto più forti negli usi finali delle imprese (tra il 60% e il 75%) contro il 33-39% per le transazioni legate ai consumi finali delle famiglie. Rispetto alla media nazionale sono 11 le regioni dove, secondo lo studio, le propensioni al gap sono inferiori ai valori. Quelli più bassi si registrano nel Lazio, in Valle d’Aosta e in Trentino-Alto Adige. Nelle regioni del Nord est le propensioni al gap degli usi finali delle imprese market sono superiori alla media nazionale e superiori alla media del Nord-Ovest. In generale, la propensione media al gap Iva dei consumi finali delle famiglie del Nord è inferiore a quella del Meridione. Dall’analisi delle componenti regionali e strutturali delle peculiarità del gap Iva, emergono tre componenti che, secondo gli studiosi, aiutano a interpretare la propensione all’evasione Iva. In primo luogo quella nazionale dove la ”tendenza” al gap Iva osservata è del 26 per cento. C’è poi la componente strutturale che di fatto aumenta il divario tra Nord e Sud, dove a far la differenza è soprattutto la quota che nell’economia del meridione risponde alla voce «settore pubblico» con un valore pari all’1,5-2,5 per cento. Ma a pesare sulla maggiore propensione all’evasione Iva al Sud è la componente locale , per la quale la fuga dall’imponibile Iva è del 10% in tutte le regioni meridionali.

Lo studio diffuso ieri dalle Entrate conferma che l’Iva è una delle principali componenti dell’evasione in Italia. Anche il rapporto previsto dal decreto sugli 80 euro (il Dl 66/2014) e realizzato dal Mef nelle scorse settimane sulle strategie di contrasto al sommerso evidenzia come l’evasione Iva «pesi» per oltre il 43,6% sui 91,4 miliardi di euro di imposte sottratte a tassazione (media del periodo 2007-2012). Né lascia ben sperare il confronto internazionale. Isolando solo l’anno 2011, l’Italia ha il tax gap Iva più elevato dei Paesi dell’Unione: 36,1 miliardi di euro, davanti a Francia (32,2 miliardi di euro), Germania (26,9 miliardi di euro) e Regno Unito (19,5 miliardi di euro).

Molto verosimilmente questi dati hanno ispirato una serie di misure antievasione. Basti pensare che sencondo il nuovo “working paper” sarebbe sufficiente spingere dell’1% nel contrasto all’evasione per ridurre il gap di imponibile Iva del 7 per cento. Di qui la volontà del Governo e dell’amministrazione finanziaria (emersa già nella circolare 25/E/2014 della scorsa estate) di puntare maggiormente sul contrasto alle frodi, comprese quelle «carosello» che tendono a far “sparire” l’Iva. Per proseguire con gli interventi nell’ultima legge di stabilità (legge 190/2014, pubblicata ieri in «Gazzetta Ufficiale» - si vedano anche gli articoli alle pagine 36 e 37) come lo split payment per le forniture alla Pa che debutterà già dal 1° gennaio e l’ampliamento del reverse charge (compreso quello nella grande distribuzione organizzata che però dovrà passare prima dal via libera di Bruxelles). Misure che, però, rischiano anche di ridurre fortemente – come evidenziato nei giorni scorsi – la liquidità a disposizione di imprese e professionisti.

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Fonte: elaborazione su dati agenzia delle Entrate

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