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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2015 alle ore 18:05.
L'ultima modifica è del 08 gennaio 2015 alle ore 18:14.

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Per non essere esclusa dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture, servizi e subappalti, e poter stipulare i relativi contratti, l'impresa può dimostrare la sua completa ed effettiva dissociazione da suoi ex rappresentanti condannati anche attraverso un verbale di assemblea e senza dimostrare di aver iniziato la causa per risarcimento danni.

L'ha stabilito il Tar di Palermo nella sentenza n. 2914, depositata dalla Terza sezione il 18 novembre, dopo aver accolto il ricorso in via principale di una impresa che aveva partecipato a una gara per i lavori di recupero di una struttura comunale destinata a fini recettivi. I giudici, sulla base delle cause di esclusione del Codice degli appalti (Dlgs n. 163/2006), hanno annullato l'appalto accertando le irregolarità contestate sia alla vincitrice (offerta economica col timbro ma senza firma, art. 46, comma 1 bis, del Codice) che un'altra concorrente (mancanza del requisito della regolarità contributiva, art. 38, comma 1, lett. i, del Codice), ma in particolare hanno bocciato il ricorso in via incidentale dell'impresa assegnataria.

Quest'ultima, ritenendo di restare prima in graduatoria, aveva chiesto l'esclusione – non avvenuta – anche di un'altra società per non aver dimostrato, come prescritto delle stesse norme (art. 38, comma 1 lett. c, del Codice), la dissociazione dal suo ex legale rappresentante e direttore tecnico, già condannato anche per falsità materiale in atti pubblici. Secondo il collegio, invece, il verbale che detta società aveva presentato era idoneo e sufficiente per provarla. Per il Tar, infatti, se non si evince, come nel caso in esame, che «la dissociazione sia una mera “operazione di facciata” e che il soggetto cessato possa ancora ingerirsi nelle attività della nuova compagine sociale e minarne la moralità professionale», è valido «anche un verbale dell'assemblea della società in cui sia chiaramente indicata la volontà di dissociazione; e ciò anche se la società abbia anche meramente dichiarato la intenzione di riservarsi la possibilità di intentare una causa civile di responsabilità nei confronti del soggetto cessato e non anche dimostrato di averla concretamente iniziata». Intraprenderla, afferma al sentenza, non è un obbligo ma una scelta che spetta all'azienda interessata e risponde «a logiche giuscivilistiche differenti rispetto agli interessi tutelati dalla previsione sulla dissociazione».

Quest'ultima, in ogni caso, «non trattandosi di istituto giuridico codificato, può aver luogo in svariate forme, purché risulti esistente, univoca e completa» e con modalità che ogni volta «vanno correttamente parametrate alla specificità del caso specifico oggetto di valutazione».

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