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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2015 alle ore 17:35.
L'ultima modifica è del 19 gennaio 2015 alle ore 19:46.

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Emilia Romagna e Lombardia si contendono il primato dei tagli alle Regioni, nella sforbiciata da 4 miliardi che la legge di Stabilità assesta ai conti territoriali, e che ora deve trovare la sua formula definitiva. I Governatori si stanno arrovellando nel tentativo di arrivare a una distribuzione condivisa dei sacrifici, da presentare al Governo entro il 31 gennaio se non si vuole far scattare la clausola automatica, con cui i tagli verranno decisi da Roma in base alla “ricchezza” (cioè al Prodotto interno lordo) e alla popolazione di ogni territorio.

Una sfida complicata: la speranza iniziale era di salvare dalla stretta il capitolo della sanità, che però pesa per quattro quinti sulle uscite regionali, ma l’alleggerimento della cura chiesto più volte dai Governatori non è arrivato, e l’impresa pare quindi impossibile. Risultato: Asl e ospedali rischiano grosso, insieme al trasporto pubblico locale, anche se non bisogna dimenticare che la spesa regionale più pesante fuori dalla sanità è un’altra: è la macchina amministrativa, che secondo i dati Copaff (la Commissione per il federalismo fiscale che disaggrega i conti delle Regioni per funzioni di spesa) vale 12,7 miliardi all’anno.

Per capire i problemi in gioco basta uno sguardo ai numeri del grafico in pagina: il conto presentato a ogni Regione è stato elaborato dal Centro Studi ReAl Sintesi distribuendo i sacrifici per metà in base al Pil e per metà in base agli abitanti. I numeri sono stati poi messi in rapporto alla spesa che ogni Regione dedica alla salute e alle altre voci, e sono queste cifre a mostrare i “pericoli” che corre proprio la sanità: un metodo di questo tipo chiederebbe all’Emilia Romagna di alleggerire di botto le proprie uscite non sanitarie del 18,4%, mentre la Lombardia, che primeggia in valore assoluto essendo la Regione leader sia nel Pil sia nella popolazione, si vedrebbe sfilati 750 milioni, cioè poco meno del 14% delle proprie spese extra-salute.

La stretta si attesterebbe fra il 12 e il 14% in altre cinque Regioni del Centro-Nord, vale a dire Piemonte, Veneto, Liguria, Marche e Toscana, oscillerebbe intorno al 10% in Abruzzo e Umbria, mentre sarebbe un po’ più “leggera” nel Mezzogiorno, dove la densità demografica e soprattutto la ricchezza pro capite sono inferiori. In media, comunque, il taglio vale l’11,5% della spesa extra-sanità. Nelle Regioni a statuto autonomo, per le quali le cifre sono già scritte nella manovra e quindi non sono più soggette a variazioni, la legge di Stabilità impone tagli profondi soprattutto in Sicilia, seguita dalla Sardegna.

Nei territori a statuto ordinario i numeri a carico di ogni Regione possono cambiare, ma dal momento che il Governo ha resistito a ogni richiesta di alleggerire i tagli, ogni euro in più riconosciuto a una Regione si trasforma in un euro in meno a carico delle altre. Il quadro d’insieme, insomma, non può modificarsi e anche l’eventuale accordo, ancora da trovare, fra i Governatori dovrà tenerne conto.

Accanto alla politica, però, la questione interessa soprattutto i cittadini, perché, anche se non si volesse toccare la sanità, tagli di questa misura non potrebbero certo ignorare le voci di spesa che più direttamente riguardano i servizi. Certo, come accennato, una buona sfoltita potrebbe concentrarsi prima di tutto sui 12,7 miliardi all’anno assorbiti dall’«amministrazione generale», una voce che però comprende anche molte spese strutturali per personale e servizi. Appena dopo arriva il trasporto pubblico locale, che pesa per 9 miliardi all’anno sui conti regionali: l’arrivo della manovra ha infatti subito acceso i dibattiti locali, con tanto di polemiche fra Regioni e Comuni sulla sorte dei sistemi di trasporto e soprattutto dei biglietti a carico di chi sale su un bus o su un treno regionale (si veda anche l’articolo sotto).

Quale che sia l’articolazione definitiva dei tagli, il dato certo è che la responsabilità delle scelte su come attuarli sarà tutta nelle mani di presidenti e assessori, ai quali la legge di Stabilità assicura una libertà di scelta molto più ampia che in passato. Questa volta non ci sono ambiti di spesa sui quali intervenire imposti dallo Stato, con i relativi problemi di costituzionalità. E non ci sono azioni obbligatorie da porre in essere in via eccezionale e derogatoria rispetto ai princìpi generali del nostro ordinamento (per esempio, riduzione ex lege del valore di contratti di fornitura in essere, salvo possibilità di recesso) anche queste sovente in odore d’incostituzionalità.

Spetterà alla politica regionale, in piena libertà, ma senza alibi, scegliere dove e quanto tagliare all’interno dei propri bilanci. E sarà suo compito anche quello di contemperare al meglio gli obiettivi di finanza pubblica necessari al rispetto dei vincoli europei e al miglioramento della nostra credibilità sui mercati finanziari e le esigenze di spesa proprie di ciascuna Regione.

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