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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2015 alle ore 18:25.
L'ultima modifica è del 05 maggio 2015 alle ore 18:27.

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Bocciato il secondo ricorso sui gemellini scambiati in provetta all’Ospedale Pertini di Roma. La prima sezione del Tribunale capitolino, con ordinanza del 22 aprile 2015 (giudice Cecilia Pratesi), ha respinto la richiesta del padre genetico che voleva ottenere dalla Corte costituzionale una “pronuncia additiva” per essere inserito tra i soggetti legittimati a proporre azione di disconoscimento di paternità, cosa a oggi non prevista. Il tutto allo scopo di poter poi richiedere l’attribuzione della paternità stessa. Rigettata anche la richiesta di consentire - durante il tempo necessario per il giudizio - contatti con i figli, perché contraria al superiore interesse dei due minori.

La vicenda nasce dall’errato impianto degli embrioni generati in provetta da una coppia nell’utero di un’altra madre, partner di una coppia che pure stava tentando di avere figli tramite la procreazione assistita. Appena nati, i due gemellini erano stati subito registrati da questa seconda famiglia “biologica”. La prima coppia aveva richiesto in via d’urgenza al Tribunale di Roma di collocare i due minori in una struttura neutra per impedire la creazione di un legame affettivo con i genitori biologici, in attesa di stabilire la prevalenza della genitorialità genetica rispetto a quella biologica. Ma il Tribunale di Roma (giudice Silvia Albano) non aveva accolto la domanda, riconoscendo invece il diritto dei due piccoli a restare affidati alla famiglia biologica, sottolineando come il legame naturalmente simbiotico che si crea tra la madre e i figli durante tutto il periodo della gestazione, costituisse già un legame inviolabile.

Il Giudice Pratesi, con l’ordinanza del 23 aprile scorso, ha prima di tutto ammesso la possibilità di giudicare questo secondo ricorso cautelare rilevando come l’oggetto della domanda fosse specifico e quindi non “coperto” dal precedente giudicato cautelare (vietato per legge): la prospettata questione di legittimità costituzionale in relazione alla violazione dei diritti del padre genetico riguarda una figura che risulta a oggi priva di tutela in casi come quello in esame (sostituzione di embrioni). Tuttavia la possibilità di adire la Consulta è stata esclusa sotto un duplice profilo: in primis quello della priorità della tutela dell’interesse dei minori all’integrità della personalità che verrebbe violata nel caso di interruzione dei legami affettivi sinora instaurati. In secondo luogo perchè la questione di legittimità prospettata dal padre genetico sarebbe stata dichiarata inammissibile dalla Consulta perché è tra quelle «ove si invocano interventi manipolativi in materie non “costituzionalmente obbligate”, ma riservate alle scelte del legislatore».

Il caso accaduto a Roma evidenzia infatti l’inadeguatezza delle leggi esistenti a prevedere e regolare aspetti, fenomeni e contrasti tra soggetti, prima inimmaginabili; ma questa lacuna normativa, proprio per essere tra le materie non costituzionalmente obbligate, non può considerarsi il terreno d’intervento della Corte costituzionale. Il vuoto va colmato dal legislatore ordinario.

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