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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2015 alle ore 06:39.

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Le Pa devono acquisire i servizi strumentali sul mercato, mediante gare, e non possono affidarli a società partecipate in house, secondo quanto previsto dalla normativa vigente.

L’innovativa interpretazione è stata elaborata dal Consiglio di Stato, sezione III, nella sentenza 2291 depositata ieri, con cui è stato annullato un affidamento di servizi di pulizie effettuato da un’Asl nei confronti di una propria società costituita per la gestione di vari servizi strumentali.

Nella pronuncia i giudici hanno vagliato il provvedimento dell’Asl alla luce dell’articolo 4, commi 7 e 8 del Dl 95/2012. Il comma 7 è finalizzato ad evitare distorsioni della concorrenza e in questa prospettiva dispone che, dal 1° gennaio 2014, le Pa acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dal Codice dei contratti.

Il comma 8 invece prevede che, dalla stessa data, l’affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house.

Il Consiglio di Stato afferma che il tenore del comma 7 sembra univoco nell’individuare le procedure concorrenziali come modalità necessaria di acquisizione dei beni e servizi strumentali.

Rispetto all’affidamento in house come modalità derogatoria, la sentenza interviene in termini radicalmente diversi da precedenti pronunce e dalla sentenza del Tar oggetto dell’appello, che avevano letto la norma come possibilità di ricorrere all’affidamento diretto come “modello ordinario”.

I giudici, infatti, partono dal presupposto che l’in house, come costruito dalla giurisprudenza Ue, rappresenta, prima che un modello di organizzazione dell’amministrazione, un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, le quali richiedono che l’affidamento degli appalti pubblici avvenga con gara.

In questa analisi, l’affidamento diretto del servizio confligge con la tutela della concorrenza in quanto sottrae al libero mercato quote di contratti pubblici. Pertanto, l’esistenza di una sua disciplina normativa a livello comunitario (oggi contenuta nell’articolo 12 della direttiva 24/2014/Ue) consente questa forma di affidamento, ma non obbliga i legislatori nazionali a disciplinarla, né impedisce loro di limitarla o escluderla in determinati ambiti. Il Consiglio di Stato evidenzia quindi come l’articolo 4, comma 7 del decreto spending review costituisca norma (nazionale) preclusiva degli affidamenti diretti di servizi strumentali, con una scelta dichiaratamente pro-concorrenziale del legislatore, mentre interpreta il comma 8 come disposizione regolativa solo delle condizioni in base alle quali l’affidamento diretto sarebbe consentito nei casi in cui lo stesso articolo 4 ammette la costituzione o il mantenimento di società in house. «È una sentenza storica - commenta Lorenzo Mattioli (presidente Anip, l’associazione imprese di pulizia e servizi integrati di Fise-Confindustria) - perché tutela il libero mercato e i diritti alla qualità e all’economicità dei servizi».

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