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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2015 alle ore 08:12.
I fondi 2015 di Città metropolitane e Province sono calibrati su non più di 30mila dipendenti, ma le persone in organico negli enti di area vasta sono ancora 48mila perché la macchina dei trasferimenti a Comuni, Regioni è Stato non si è ancora avviata. Si basa su questi dati l’allarme lanciato ieri dalla Cgil, secondo cui gli stipendi dei dipendenti provinciali sarebbero “a rischio a partire dal prossimo mese di giugno”. Allarme subito respinto dal Governo: il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha parlato di «allarme assolutamente infondato», mentre il sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, ha assicurato la garanzia per i redditi di tutti i lavoratori provinciali.
La situazione sul territorio è diversa da ente a ente, ma per tradurre in pratica le tutele fin qui ribadite in più occasioni dagli esponenti del Governo occorre un’accelerazione drastica del sistema della mobilità, che sarebbe dovuto partire già da mesi. La manovra da un miliardo di euro introdotta dalla legge di stabilità, che ha trovato la propria distribuzione definitiva solo giovedì scorso con l’ultimo accordo fra Governo e amministratori locali, è stata calcolata sull’idea che le Province svolgano solo le funzioni loro assegnate dalla riforma Delrio, ma al momento così non è per ritardi accumulati sia dal Governo sia dalle Regioni. Nel 2014 stipendi e contributi dei dipendenti provinciali sono costati in tutto 1,9 miliardi, mentre quest’anno gli enti di area vasta dovrebbero fare tutto, servizi compresi, con 2,4 miliardi; solo le funzioni generali, cioè la macchina amministrativa, costa in media 1,2 miliardi l’anno, ma per il 2015 gli enti dovrebbero cavarsela con 400 milioni.
Per centrare l’obiettivo posto dalla legge di stabilità, occorrerebbe che le Province si alleggerissero davvero del 50% delle proprie spese di personale e delle funzioni che secondo la riforma Delrio non devono più svolgere, ma finora tutto è rimasto pressoché fermo.
La prova del nove arriva dal portale della mobilità che il Governo ha avviato nelle scorse settimane e che dovrebbe ospitare gli elenchi del personale in soprannumero, da trasferire ad altri enti: finora sono pochissime le Province che hanno indicato gli esuberi, anche perché la nuova geografia delle competenze non è stata attuata dalle Regioni. Anche in Toscana, prima ad approvare la propria legge attuativa della riforma, gli elenchi del personale da spostare vanno essere ultimati. Lo stesso Bressa nelle settimane scorse ha avviato una serie di confronti bilaterali con le Regioni, nel tentativo di superare le resistenze, ma va ricordato che sette Regioni vanno al voto a fine maggio e, tranne la Toscana e poche altre eccezioni, difficilmente riusciranno a ultimare tutto prima dell’autunno.
Anche a livello centrale, la procedura ha incontrato parecchi ostacoli. Il decreto con le tabelle di equiparazione, essenziale per disciplinare la mobilità fra i diversi comparti pubblici e quindi a spostare la quota di personale che deve finire allo Stato, non è ancora arrivato al traguardo. Giovedì scorso ha ottenuto il via libera degli amministratori locali, con una serie di osservazioni sulle garanzie di mantenimento di tutto il trattamento economico che secondo i sindacati sarebbe a rischio; il ministro della Pa Marianna Madia ha detto che le osservazioni saranno “valutate”, ma in ogni caso dovrà poi essere la Corte dei conti a dire l’ultima parola sulla registrazione del provvedimento.
Ieri la Madia, nel rispondere alla Cgil, ha aggiunto che «nessuno perde stipendi e tutti continueranno ad avere un lavoro».
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