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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2015 alle ore 06:39.

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Dopo il vortice delle sospensioni e dei ripensamenti che hanno caratterizzato la giornata di ieri, nel pacchetto fiscale ora in programma per venerdì spunta anche l’ipotesi di riforma dell’aggio che i contribuenti pagano sulle cartelle.

Il cantiere per la riforma di questa “tassa sulla tassa”, che oggi vale circa 500 milioni all’anno e chiede l’8% di tutti gli importi arrivati alla riscossione coattiva tramite Equitalia, lavora su due versanti: una «rinuncia» da parte dell’agente nazionale della riscossione, che potrebbe versare questa quota direttamente al bilancio dello Stato anziché mantenerla nei propri conti, e una diversa modulazione della richiesta, da collegare alle caratteristiche della cartella.

L’aggio è uno degli argomenti-chiave nelle polemiche su Equitalia, al punto che lo stesso presidente di Equitalia (appena riconfermato) Vincenzo Busa ha avanzato di recente l’ipotesi di girare l’introito allo Stato «per sottolineare la funzione pubblica dell’agente della riscossione» (si veda Il Sole 24 Ore del 30 aprile). L’altro punto critico dell’aggio, che l’ha portato fino ai tavoli della Consulta, è però rappresentato dal suo meccanismo fisso, che impone di pagare l’8% a qualsiasi cartella, dalla più leggera alla più ricca: non proprio il massimo per una voce che nasce per remunerare i costi della riscossione, e quindi andrebbe collegata al peso effettivo delle attività svolte da Equitalia per portare la cartella all’incasso.

La questione è stata esaminata dai giudici delle leggi un mese fa, ma nonostante le rassicurazioni informali sui tempi la decisione non è ancora stata pubblicata. In realtà, da più parti si è ipotizzata una sentenza di inammissibilità, sulla base del fatto che il caso finito sotto l’esame della Corte costituzionale riguarda un debito di poche centinaia di euro, nel quale di conseguenza l’aggio non sarebbe tale da superare in modo irragionevole il costo effettivo della procedura. È ovvio che anche se queste anticipazioni fossero confermate, la partita sarebbe tutt’altro che chiusa anche perché hanno già imboccato la strada verso il Palazzo della Consulta questioni relative ad aggi di valore molto più rilevante. Dal momento che una bocciatura integrale dell’aggio da parte della Corte imporrebbe la restituzione di quanto incassato negli ultimi cinque anni, cioè per tutto il periodo ancora scoperto dalla prescrizione, il costo potrebbe arrivare a 2,5 miliardi di euro; in quest’ottica, un cambio delle regole all’interno della riforma fiscale avrebbe anche il valore di una tutela preventiva per i conti, oltre a rafforzare l’immagine di Equitalia come «agente pubblico» slegato da problemi di “business”.

L’altro capitolo della riforma fiscale che interessa da vicino Equitalia è quello della riscossione locale, da cui l’agente nazionale è in uscita ormai da quattro anni secondo una previsione continuamente congelata (l’ultimo rinvio, a fine anno, è contenuto nel decreto sugli enti locali pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» venerdì scorso). A prevedere la revisione del meccanismo di riscossione delle entrate comunali è anche l’articolo 10 della legge delega, ma nemmeno questa sembra la volta buona. Nei mesi scorsi si è lavorato all’ipotesi di un consorzio fra Anci ed Equitalia, a cui delegare la riscossione coattiva lasciando gli altri settori di attività ai soggetti privati iscritti all’albo o direttamente ai Comuni. Intorno a questa scelta si è però catalizzata una forte opposizione. A questo punto le ipotesi sono due: un nuovo tentativo, sotto forma di emendamento al decreto enti locali, oppure se ne riparlerà in autunno.

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