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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2013 alle ore 08:13.
ROMA - Anche stavolta nessuno lo aveva previsto. Romano Prodi è finito impallinato dai franchi tiratori del Pd, del suo partito, così come era avvenuto il giorno prima per Franco Marini. Anzi, peggio. Al fondatore dell'Ulivo sono mancati ben 101 voti. Ma la sua candidatura era stata accolta dall'assemblea mattutina del Pd da una corale standig ovation, accompagnata da grida e abbracci di giubilo. Niente a che vedere con i cori di protesta, le fughe polemiche e i voti in dissenso espressi giovedì sera, quando Pier Luigi Bersani indicò Franco Marini.
Il risultato però è stato lo stesso e certifica che il Pd è in questo momento preda della balcanizzazione.
Al termine dello scrutinio sul tabellone di Montecitorio è infatti comparso un gramo 395, mentre Stefano Rodotà ha raccolto 213 voti, 51 in più rispetto ai 162 parlamentari Grillini. Anche il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri, la candidata dei montiani, va oltre le aspettative, attestandosi a quota 78, 9 in più dei 69 grandi elettori di Scelta civica. Senza dimenticare gli «altri» voti sparsi, ovvero le 15 schede bianche, i due a Massimo e Vittorio Prodi, i 3 a Franco Marini, i 15 voti piovuti su Massimo D'Alema.
Già, D'Alema. È su di lui, sul Richelieu rosso (e sugli ex popolari di Fioroni), che i prodiani puntano il dito, indicandolo come il vero mandante dell'intera operazione. Il sospetto lo aveva anche Nichi Vendola, che per evitare di essere accusato di aver fatto salire i voti di Rodotà, aveva dato mandato ai suoi di rendere riconoscibile il loro voto aggiungendo una R (l'iniziale del Professore) al cognome Prodi. È ormai il tutti contro tutti. Si sussurra di un piano D'Alema-Renzi e come prova si porta la dichiarazione del sindaco di Firenze che è il primo a dire «la candidatura di Prodi non c'è più». Renzi risponde ricordando che quando è stato contrario (vedi Marini) non ha fatto «doppigiochi» ma lo ha detto apertamente. «Per tutto il giorno sono stato accusato su Facebook di sostenere una candidatura, quella di Romano Prodi. Ora l'accusa è di aver complottato contro di lui: se non ci fosse di mezzo l'Italia sarebbe da ridere».
Il risultato è stata una totale débâcle, accompagnata dai cori festanti del centrodestra, che durante lo scrutinio della quarta votazione aveva dato vita a una manifestazione davanti a Montecitorio contro la candidatura dell'ex premier del centrosinistra con tanto di mortadella affettata e maglietta «Il diavolo veste Prodi» di cui si è fregiata Alessandra Mussolini beccandosi anche il rimprovero della presidente della Camera Laura Boldrini. Berlusconi – su suggerimento, pare, del machiavellico leghista Roberto Calderoli – aveva ordinato ai suoi di non partecipare al voto. Una mossa non solo finalizzata ad enfatizzare il «no» a Prodi, ma anche tattica. Non partecipando al voto sarebbe emerso con chiarezza chi votava chi: l'obiettivo era evitare che Scelta civica potesse capitolare.
Durante l'intera giornata ripetuti erano stati i tentativi di abboccamento del Pd sui leader dei montiani, nonostante proprio il premier avesse escluso la possibilità di convergere sul candidato del centrosinistra. «Romano Prodi ha tutte le caratteristiche per essere un buon Capo dello Stato, ma il modo in cui la personalità di Prodi viene portata all'attenzione dei grandi elettori è un modo che viene percepito come divisivo», aveva detto Monti lanciando contemporaneamente la candidatura di Anna Maria Cancellieri.
La realtà è che tutti volevano prima capire se il Pd avrebbe retto alla nuova prova del fuoco. Se Bersani fosse in grado di tenere il partito. Che Prodi infatti non sarebbe stato eletto alla quarta votazione, lo davano per scontato anche i big democratici. «Se siamo attorno a 470, è fatta alla quinta...» era il refrain ripetuto alla vigilia dello spoglio. Il quorum è infatti 504 e quindi sarebbero bastati i voti dei montiani (o almeno di una parte) con l'aggiunta di qualche grillino, per fare eleggere Prodi stamane alla quinta votazione. Il gossip di Palazzo raccontava che c'erano «pronti» 22 voti grilini coperti in soccorso del Professore. Ma abbiamo visto come è andata.
Oggi sono previste altre due votazioni. Dal Pd non è emersa alcuna nuova indicazione. Quel che è certo è che Prodi non è più in corsa, avendo annunciato pubblicamente il suo ritiro con una dichiarazione non priva di polemica: «Chi mi ha portato a questa decisione deve farsi carico delle sue responsabilità. Io non posso che prenderne atto».