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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2013 alle ore 09:10.

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Può apparire stravagante o inutilmente scontato, nelle ore in cui fioccano i numeri delle elezioni per il Presidente della Repubblica, ricordarne altri, di numeri. Quelli del contatore della crisi, per esempio: indicano che ieri i fallimenti delle imprese sono stati 79 e che dall'inizio del 2013 sono arrivati a quota 4.468.
In questo caso non ci sono manovre sotterranee, rese dei conti personali e di partito, alchimìe di potere.

E non c'è nemmeno lo stallo politico-istituzionale che dura ormai da due mesi con un Governo in carica per gli "affari correnti" e che si specchia in questi giorni nel vuoto dei primi quattro scrutini per eleggere il nuovo capo dello Stato.
L'unica a non essere in stallo è infatti la crisi dell'economia reale, con le difficoltà crescenti che incontrano famiglie e imprese. E uno stallo politico sommato a una crisi che si aggrava, mettendo a rischio la coesione sociale della terza economia d'Europa le cui sorti si legano al destino stesso dell'euro, è un guaio enorme. Per tutti, compresi gli elettori, grandi e piccoli (a loro volta eletti dai cittadini), che devono trovare un'intesa, sperabilmente la più larga possibile, su chi per i prossimi sette anni dovrà rappresentare l'unità nazionale.
Naturalmente per sbloccare la situazione non servono richiami di maniera ma un calcolo politico di fondo che a sua volta dovrà tradursi in numeri. E questo calcolo politico suggerisce che lo stallo va rotto per consentire che un nuovo, credibile Governo faccia ciò che deve in Italia e in Europa per abbattere il muro della decrescita. Una picconata sulla quale dovrebbe esserci convergenza di vedute, realisticamente anche in termini di consenso popolare.

Non devono trarre in inganno né le fiammate di Borsa né i ribassi dello spread tra i titoli italiani e tedeschi. Molto opportunamente, e con parole molte chiare, il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha ricordato a Washington che l'incertezza in cui si trova l'Italia "pesa". Quanto? Moltissimo. «Le imprese - ha detto Visco - devono fare investimenti, gli investimenti dipendono dalle prospettive future, le prospettive future dipendono dalla tenuta complessiva del Paese».
Questa è la sequenza virtuosa. Che in caso di stallo prolungato si trasforma, al contrario, in un avvitamento da allarme rosso. Una crisi di fiducia degli investitori va ben al di là di un numero che balla sui mercati finanziari, è una cancrena insidiosa che pendola tra banche e imprese minando alle basi un rapporto, appunto, fondato sulla fiducia reciproca e sulla fiducia in generale sulle sorti del Paese. Se viene meno questa, viene giù tutto il resto. E non c'è operazione di banca centrale, per quanto "non convenzionale" o addirittura spericolata, che possa supplire al venir meno della fiducia. Anche in caso di ripresa, questa sarà inevitabilmente meno intensa, più frenata.

Di questo calcolo si dovrebbe tenere conto nelle Camere riunite per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Tanto più che incombe una pioggia di scadenze (in Europa, a partire dalla presentazione del Piano di riforma e in vista, a maggio, dell'esame per l'uscita dalla procedura d'infrazione per deficit eccessivo) e in Italia. Dove spicca il da farsi, oltre alla partita ancora aperta per lo sblocco dei debiti della Pa, sul fronte di una possibile "manovra" o "manovrina" per rispondere con i numeri al lungo elenco delle spese cosiddette "indifferibili", come il finanziamento della Cassa integrazione o le missioni internazionali.
È questo il contesto eccezionale che fa da sfondo all'elezione del nuovo Capo dello Stato. I numeri del contatore parlamentare sono importanti, ma quelli del Paese che arretra lo sono di più. Non tenerne conto sarebbe un errore capitale. guido.gentili@ilsole24ore.com

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