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Il partito dei Gandhi rischia la disfatta

Rahul Gandhi (Epa)Rahul Gandhi (Epa)

L'India si prepara a sacrificare un altro Gandhi, Rahul, stavolta solo politicamente. Al delfino della dinastia Nehru-Gandhi, che è una cosa sola con il partito di maggioranza, il Congresso, tocca l'ingrato ruolo di vittima predestinata nelle elezioni in corso. Salvo improbabili colpi di scena, il Congresso, oggi guidato dalla madre Sonia, si avvia alla peggiore sconfitta nella sua storia.

Dopo dieci anni di governo, con i due mandati del premier uscente Manmohan Singh, il rapporto tra gli elettori e il partito si è definitivamente incrinato e Rahul non sembra proprio avere le caratteristiche per riconquistarne la fiducia. Quarantatré anni, più schivo che riservato, molto avaro nel concedersi ai media, il pronipote di Jawaharlal Nehru è il ritratto del candidato riluttante. Sua nonna, Indira Gandhi, quattro volte premier, fu assassinata nel 1984 dalle sue stesse guardie del corpo sikh. La medesima sorte toccò al padre di Rahul, Rajiv Gandhi, ucciso dalle Tigri Tamil nel 1991.

Cresciuto nel lusso che compete all'erede di una grande dinastia insieme alla sorella Priyanka, Rahul non si è mai lasciato assorbire dalla politica, non ha esperienze nel governo centrale del Paese, né di livello statale, al contrario del grande favorito Narendra Modi, da 13 anni chief minister del Gujarat per il partito nazionlaista indù.
Rahul ha studiato ad Harvard e Cambridge, è stato eletto in Parlamento nel 2004, nel seggio che fu roccaforte di Rajiv, anche questa una sorte di eredità ricevuta. Salito ai piani alti del partito nel 2007, ha tentato di renderlo più trasparente e meritocratico. L'anno scorso ne è stato nominato vicepresidente, secondo solo alla madre Sonia, e guida la campagna elettorale pur non avendo ricevuto l'investitura di candidato premier, come del resto consuetudine nel Congresso.

Un front runner debole per un partito che si presenta all'appuntamento elettorale macchiato da una serie di scandali di corruzione e più in crisi che mai. Già nel 2009 sembrava destinato alla sconfitta e fu salvato solo dalla determinazione di Sonia Gandhi, che riuscì a guidarlo in una rimonta quasi impossibile e a regalare a Singh il secondo mandato, evento raro in un Paese con una spiccata tendenza al ricambio. Ma se nel 2009 il Congresso poteva presentarsi all'elettorato forte di tassi di sviluppo prossimi al 9%, quest'anno il bilancio è di tutt'altro segno: nel 2012-13, la crescita del Pil si è arenata al 4,5%, il minimo da oltre dieci anni. E nel 2013-14 non dovrebbe andare oltre il 4,9. Troppo poco per assorbire i 12 milioni di indiani che ogni anno bussano alle porte del mercato del lavoro. Soprattutto troppo poco per creare posti di lavoro ben retribuiti e qualificanti. I prezzi al consumo, solo di recente imbrigliati dal governatore della Banca centrale Raghuram Rajan, restano ancora all'8%, ma nel 2013 sono saliti in media del 9,8%.

I più disincantati tra i membri del Congresso si accontenterebbero di conquistare 100 seggi, dai 206 attuali. I più scaltri hanno già abbandonato la nave. Quasi completamente persa la Corporate India, frustrata dall'incapacità del governo Singh di sbloccare gli investimenti, semplificare e rendere più trasparente e meno corrotta la burocrazia e creare un habitat più favorevole alle imprese. Secondo un sondaggio pubblicato da un quotidiano indiano, il 77% dei manager d'azienda fanno il tifo per il Bjp e Modi. Nel 2012, i progetti di investimento sono precipitati a 95 miliardi di dollari, dai 289 del 2011.

Ma non è solo la comunità degli affari ad aver voltato le spalle al Congresso. Secondo lo statunitense Pew Research Centre, il 70% degli indiani boccia le politiche adottate dal governo e il 60% ritiene il Bjp meglio attrezzato per affrontare le emergenze del Paese: inflazione, disoccupazione e lavoro precario, disuguaglianze. Stanchi della paternalistica politica di sussidi portata avanti dal Congresso a spese delle casse dello Stato, gli indiani vogliono un sistema più meritocratico ed efficiente. Anche perché, la manna pubblica, dirottata dalla diffusa corruzione, di fatto non li raggiunge. Invece vogliono strade asfaltate, energia elettrica 24 ore su 24, sette giorni su sette, acqua, reti fognarie, ospedali efficienti, insegnati per le scuole e soprattutto la speranza di poter costruire una vita migliore per se stessi e per i propri figli. E non sono più disposti ad affidare le proprie aspettative al partito del Congresso, al potere per 54 dei 67 anni dall'indipendenza dell'India.

In dubbio, allora, non c'è solo il ruolo politico del Congresso in India, ma la stessa presa della dinastia Nehru-Gandhi sul partito.

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