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Indù contro musulmani, il voto a New Delhi è (anche) una questione religiosa

Nel suo viaggio attraverso il Paese, Narendra Modi ha chiesto il voto di tutte le comunità etniche e religiose del Subcontinente: negli innumerevoli comizi e show elettorali tenuti nei 35 tra Stati e territori autonomi dell'Unione, ha indossato turbanti sikh, colorati berretti a forma di cono ed elmetti tribali, pesanti cappelli di lana nei villaggi dell'Himalaya. Ovunque mostra un volto amichevole. Nessuno, però, ha mai visto il campione del nazionalismo indù con un copricapo islamico.

Con il 13% della popolazione e 138 milioni di persone, secondo il censimento del 2001, la comunità musulmana è la più grande minoranza religiosa del Paese. In base a stime più recenti, rappresenta in realtà il 18% della popolazione, ma i dati ufficiali dell'ultimo censimento, quello effettuato nel 2011, non vengono pubblicati: con i gruppi nazionalisti che accusano i musulmani di fare troppi figli e di puntare a superare gli indù con la demografia, il governo non vuole urtare nervi già scoperti.

Le tensioni tra le due comunità affondano nella storia del Paese ben più indietro della traumatica partizione che separò Pakistan e India nel 1947. E di tanto in tanto bucano la superficie di una difficile convivenza con eruzioni di violenza. Come quella che nel 2002 causò la morte di oltre 1.200 musulmani nel Gujarat, proprio lo Stato governato da Narendra Modi, insediatosi come Chief minister appena l'anno prima. Il leader del Bharatiya Jamata Party (Bjp) è stato scagionato dalle indagini, ma l'accusa di non aver saputo o voluto impedire il pogrom, se non di averlo addirittura favorito, lo ha sempre inseguito e gli è anche costata il bando degli Stati Uniti, ritirato solo qualche settimana fa.

Quanto la minoranza musulmana sia preoccupata dall'inarrestabile ascesa del leader nazionalista, è diventato chiaro la settimana scorsa, quando il capo della moschea di Delhi, la più importante del Paese, ha fatto irruzione nelle elezioni che si concluderanno il 12 maggio, invitando la comunità musulmana a votare compatta per il Partito del Congresso. L'imam Syed Ahmed Bukhari, dopo avere incontrato il presidente del Congresso, Sonia Gandhi, ha lanciato un appello a unirsi contro il nemico comune. Dal canto suo, la Gandhi ha invitato a «non disperdere i voti». Quasi rassegnato alla sconfitta più plateale della sua storia, il Congresso sta provando a limitare i danni cercando di conquistare la comunità musulmana alla quale promette la conferma della legislazione a tutela delle minoranze.

I sondaggi attribuiscono al Bjp fino a 242 seggi della futura Camera bassa del Parlamento sui 543 in palio, fotografandolo a poche decine di voti da una maggioranza che potrà comunque formare alleandosi con un partito minore. Modi e i suoi finora hanno evitato di calcare troppo sul tasto della questione religiosa, improntando la campagna elettorale sui temi dell'economia e dello sviluppo e sulla promessa di un'India più prospera e ricca per tutti, anche per i musulmani. Ora però, il Bjp ha cominciato ad attaccare il Congresso, accusandolo di strumentalizzare le divisioni religiose, di favorire i musulmani e di «incoraggiare il macello delle mucche». Nel suo manifesto elettorale ci sono temi cari al nazionalismo indù come la revoca delle tutele a favore della minoranza islamica e dello status speciale del Jammu e del Kashmir, dove i musulmani sono maggioranza.

Il fatto è che i musulmani possono davvero diventare il granello di sabbia capace di inceppare l'inarrestabile macchina da guerra del Bjp. Non fino a negargli la vittoria, magari, ma ridimensionandola al punto da privare Modi della forza necessaria in Parlamento a governare l'India. Già nel 2009, la comunità islamica votò strategicamente contro i candidati del Bjp, contribuendo a rovesciare quello che anche allora sembrava un verdetto scontato a suo favore e permettendo la rimonta quasi impossibile del Congresso, che finì con il conquistare 206 seggi, abbastanza per mettersi alla guida di una coalizione di maggioranza. I musulmani furono determinanti in particolare in Uttar Pradesh, dove sono il 18% della popolazione, permettendo al Bjp di conquistare solo 10 sugli 80 seggi in palio in questo Stato cruciale. Per espugnare New Delhi, qui Modi deve riuscire ad ottenerne almeno 30. Non è scontato: migliaia di musulmani vivono ancora nelle baracche come conseguenza degli scontri di Muzaffarnagar del settembre 2013, che hanno causato 65 morti e 12mila senza tetto, quasi tutti musulmani. Nel 1992, sempre nell'Uttar Pradesh, il Bjp condusse una campagna anti-islamica che portò alla distruzione della moschea di Babri Masjid e a una serie di scontri con un bilancio di oltre 2mila morti al quale si sommarono l'anno dopo le 257 vittime della ritorsione musulmana, a suon di bombe. Senza che nessuno sollevi la questione, sullo sfondo restano poi gli attentati di Mumbai del 2011.

Spesso lasciati ai margini dello sviluppo, oltre a essere maggioranza in Jammu e Kashmir, i musulmani sono circa un quarto della popolazione in Assam, West Bengal e Kerala e rappresentano il 20% della popolazione in 73 circoscrizioni, ma con il loro voto potrebbero essere decisivi in 110. Non hanno però una leadership né un partito ad organizzarli.

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