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Modi chiude agli stranieri nel retail

Nel primo giorno della lunga maratona elettorale che si è aperta ieri, il Partito nazionalista indù, favorito nei sondaggi, ha finalmente pubblicato il proprio manifesto politico. Il documento, contiene più conferme che novità, a cominciare dalla promessa di creare un habitat più favorevole alle imprese e agli investimenti diretti esteri. Fatta eccezione per le multinazionali della grande distribuzione: per loro, le porte del mercato indiano, socchiuse dal Congresso nel settembre del 2012, torneranno a sbarrarsi.

Il settore vale 500 miliardi di dollari ed è molto ambito da giganti come Walmart, Carrefour e Tesco, attirati dalle potenzialità offerte da una popolazione di 1,2 miliardi di abitanti che negli ultimi cinque anni hanno aumentato la spesa media mensile pro-capite di circa il 16 per cento.

New Delhi però è sempre stata molto riluttante a lasciar entrare i big della grande distribuzione, temendo che questo significhi la fine per milioni di piccoli commercianti e la distruzione di posti di lavoro. La stessa apertura varata due anni fa dal premier uscente Manmoahn Singh, sostenuto da una maggioranza guidata dal Congresso, è arrivata dopo polemiche infinite ed è una liberalizzazione a dir poco parziale. Con questa riforma, New Delhi riconosce ai gruppi internazionali la possibilità di salire fino al 51% nella proprietà dei negozi multi-marca (prima il tetto era al 30%). Il compito di varare i regolamenti attuativi è però demandato agli Stati e qui, come avviene in molti altri settori, la riforma si è impantanata nelle resistenze delle lobby locali e dei politici che non vogliono scontentarle. Tre quarti di tutti i progetti d'investimento nel Paese, secondo un recente report di Credit Suisse, si bloccano al livello dei singoli Stati che, con il loro potere di veto, ipotecano la capacità di governo di qualsiasi maggioranza salga al potere a New Delhi.

Il risultato è che nessuna multinazionale è ancora operativamente entrata nel mercato retail. Solo la britannica Tesco ha fatto un passo concreto, il mese scorso, con un investimento da 140 milioni di dollari in una joint venture con Trent, una controllata del Gruppo Tata, per aprire 12 negozi. Mentre Wal Mart ha annunciato l'8 aprile l'intenzione di aprire 50 punti vendita nel giro di 4 o 5 anni. Il gigante statunitense è presente in India dal 2006 e conta 20 negozi che però non vendono direttamente ai consumatori, bensì ai piccoli commercianti.

Se il Bharatiya Janata Party (Bjp) di Narendra Modi, come tutto lascia pensare, conquisterà il Governo del Paese, anche questa liberalizzazione a metà sarà cancellata. Del resto il Bjp si è sempre detto contrario, proponendosi come punto di riferimento politico per i piccoli commercianti, milioni di voti preziosi. Molto lontano dall'essere efficiente, il settore della distribuzione in India è affetto da strozzature che contribuiscono a generare carenza di offerta e a tenere l'inflazione a livelli di guardia: a febbraio era attorno all'8,1% e per buona parte del 2013 è rimasta sopra il 9 per cento.

Negli altri settori economici, invece, il Bjp, che cerca di far convivere l'anima pro-impresa con l'anima nazionalista, promette maggiore apertura ai capitali esteri, infrastrutture e difesa compresi, in modo che possano creare opportunità per i 12 milioni di indiani che ogni anno entrano nel mercato del lavoro. Un esercito: per assorbirlo servono tassi di crescita del 6,5% (oggi l'India cresce al 5%). Di posti, Modi, ne ha promessi addirittura 250 milioni nei prossimi dieci anni, anche se il vero problema non è quello di creare impieghi, ma di crearli ben retribuiti e qualificanti per i milioni di laureati che le università indiane sfornano ogni anno e spesso finiscono con stipendi bassi, contratti precari, se non direttamente nell'economia informale.

Per attirare investimenti esteri, il programma del Bjp, che in questo e in molti altri punti non si discosta troppo da quello del Congresso, promette lotta alla corruzione e semplificazione, in modo da rendere più certe, semplici e veloci le procedure per vendere o affittare terreni o per ottenere la fornitura di corrente elettrica. E, pur nel rispetto della disciplina di bilancio, la semplificazione di un sistema fiscale che viene definito «repulsivo per i contribuenti onesti».

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